Basta parlare di pace

 

In piazza Palazzo di Città, dalla sede del comune di Torino, uno striscione segna l’attesa del ritorno a casa degli italiani costretti all’estero. Le foto si riferiscono ai due “marò” italiani, al turista Paolo Bosusco sequestrato dai maoisti in India (rilasciato oggi) e a Rossella Urru in missione di pace nei territori occupati Sahraui. 

 

Lo spazio di uno striscione per le storie che quei volti rappresentano è troppo stretto. I primi si trovano nelle carceri indiane, regolarmente visitati dall’ambasciatore e altre autorità italiane in attesa dell’esito delle negoziazioni diplomatiche. Rossella è stata rapita lo scorso ottobre e non è chiaro in mano a quale  banda criminale si trovi: la speranza è affidata ai contatti con i terroristi.

Il primo caso dunque è dovuto al vuoto giuridico intorno agli interventi armati all’estero, il secondo alla violenta anarchia che regna nelle aree più povere del pianeta.

Ma non sono solo questi elementi a irritare chi capisce che è offensivo allineare un cooperante internazionale a un militare.

Rossella Urru, cooperante con la ONG italiana CISP, si trovava all’estero, in un contesto segnato da povertà e violenza, per aver scelto un lavoro che le consentisse di mettersi al servizio di chi soffre in modo professionale, ma diretto, condividendo la situazione di chi ogni giorno non ha altra scelta che cercare di sopravvivere.

In nessun modo questa descrizione si può applicare ad alcun militare nell’esercizio delle sue funzioni. Legittime (anche se spesso in un vuoto legale internazionale), ma diverse per modi e fini da quelle dell’aiuto umanitario.

Non solo sono differenti i valori di riferimento: i fondi destinati alla difesa persino in tempi di pace e l’impegno delle istituzioni di fronte a questi casi di emergenza non sono i medesimi.

Per cui, per favore, basta parlare di pace. In occasione della Pasqua questa parola è ridondante. Se poi la associamo a chi con la pace non ha nulla a che vedere, il suo uso indebito diviene disgustoso e ci rovina l’appetito.

I diritti umani, tra cui la libertà, sono di tutti e ciascuno. Ma se ci emozioniamo allo stesso modo per chi spara e per chi gli spari gli subisce facendo scudo con il proprio corpo, allora non abbiamo chiaro da che parte stare, non abbiamo chiaro cosa significhi giustizia.

 

http://www.rossellaurru.it/

12/04/2012
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