Antonio Landieri, vittima di camorra

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Antonio Landieri è ufficialmente una “vittima di camorra”. Ci sono voluti dieci anni e due mesi prima che la Prefettura di Napoli lo riconoscesse come tale. Il giovane ragazzo disabile di 25 anni fu ucciso in un bar di Scampia il 6 novembre 2004 da un commando della camorra, ma subito dopo l’assassinio i giornali della zona lo etichettarono subito come un “affiliato”. “Antonio fu ucciso due volte” racconta suo cugino Rosario Esposito La Rossa che, insieme alla compagna Maddalena Stornaiuolo, si è fatto carico della responsabilità di narrare la storia di Antonio facendola conoscere in tutta Italia. Una ricerca  di verità che si è accompagnata fin da subito all’impegno concreto sul territorio con la creazione dell’associazione Vodisca che in questi anni ha condiviso pezzi di cammino con la rete di Libera Piemonte e Acmos.

 

Rosario, cosa successe dopo l’omicidio di tuo cugino?

Quando mio cugino è stato ucciso venne trattato fin da subito come un membro della camorra. I giornali scrivevano che apparteneva a questo o quel clan e la Procura archiviò le indagini con troppa fretta. A causa di tutto ciò Antonio non potè ricevere un funerale pubblico. Uno schiaffo per tutti noi che però non ci ha fatto arrendere, anzi: in questi anni abbiamo lavorato per far riaprie le indagini e per accertare la verità insieme al Coordinamento dei Famigliari delle Vittime di Camorra. Ci sono voluti dieci anni e due mesi per arrivare a questa giornata: un tempo relativamente veloce se si pensa che per vittime più illustri come Giancarlo Siani sono passati 26 anni.

 

Qual è stato il lavoro che avete svolto per il riconoscimento?

Ci siamo impegnati su tre fronti: da un lato abbiamo lavorato con la famiglia per aiutarla ad uscire dal proprio dolore. Dopo anni di silenzio, il primo momento in cui si sono esposti pubblicamente è stato l’inaugurazione di Cascina Arzilla, un bene confiscato in provincia di Torino che la rete di Libera Piemonte ha voluto dedicare proprio ad Antonio Landieri. Il secondo fronte è stato quello legale che abbiamo portato avanti insieme al Coordinamento dei Famigliari di Vittime di Camorra, fondamentale per fare riaprire le indagini. Il terzo ed ultimo è stato quello culturale che ancora oggi portiamo avanti con la libreria, la fattoria didattica, la casa editrice e il teatro.

 

Perché importante questa vittoria?

Perchè significa che avevamo ragione. Volevamo questa vittoria per due motivi: da un lato potremo spazzare via quel fango che troppi giornalisti hanno buttato su Antonio subito dopo la sua morte, mentre dall’altro potremo finalmente crerare una fondazione dedicata a mio cugino e intitolargli un luogo pubblico. Nel 2015 vorremmo che lo stadio di Scampia diventasse lo stadio “Antonio Landieri” perchè mio cugino amava il calcio e tutti gli appassionati che passeranno di lì potranno conoscere la sua storia.

 

In questi anni la storia di Antonio ha viaggiato in tutta Italia e questa è stata la sua forza…

In questi dieci anni è stato fondamentale il ruolo del Nord Italia dove sono nati tantissimi presidi di Libera dedicati a mio cugino. Da Arona a Trieste, centinaia di giovani si sono impegnati portando in alto il nome di Antonio. Un lavoro che ha generato un senso di “rivalsa” ed ha avvicinato molti napoletani alla storia di mio cugino creando e informando un’opinione pubblica consapevole.

 

“Narrare è resistere” ami ripetere spesso. Ad oggi ci sono altre storie di vittime innocenti non riconosciute?

Ci sono ancora troppe vittime innocenti di camorra che non sono ancora state riconosciute dallo stato italiano. Troppo spesso le famiglie non hanno la forza di organizzarsi per cercare la verità non solo per le vittime delle guerre del 2004, ma ancora per quelle degli anni Ottanta. Dobbiamo non dimenticarci di loro e raccontare le loro storie.

30/01/2015
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