Affinché sotto il sole greco si racconti un’altra storia

 

di Simone Bauducco

Niente di nuovo sotto il sole. Greco, questa volta. Se in un’equazione gli elementi sono Israele, Gaza e uno Stato occidentale l’incognita non è poi così inaspettata. Facile da risolvere, anche per un bambino. Senza spingerci in giudizi, almeno per ora, all’obiettivo annunciato di portare via mare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza si registra un’opposizione netta della comunità internazionale. E del paese che ospita le navi in attesa della partenza verso il Medio Oriente. La Grecia, oggi. Cipro due anni fa. Ricordo ancora con nitidezza quel documento firmato nel giugno del 2009, a Larnaca. Il Governo di Cipro, dopo aver preso ogni pretesto per non farci salpare verso le coste di Gaza, ci fece firmare un documento per farci assumere ogni responsabilità, in caso di un attacco da parte della marina israeliana. E poi, una delle due navi, non ottenne – comunque – i permessi per lasciare Cipro. Nel 2010, invece, il viaggio della Freedom Flottilla ci riporta alla mente l’attacco dell’esercito di Israele. E la morte di alcuni attivisti. L’ennesima pagina oscura di un conflitto che si estende oltre i confini sanciti dalla comunità internazionale in quel fazzoletto di terra. Una situazione che semina morte ovunque. Dentro e fuori i confini per comportamenti e politiche praticate da diversi fronti – e non solo da quelli direttamente interessati – che si muovono schizofrenicamente affinché nulla cmabi.

 

Oggi la storia si ripete. La Freedom Flottilla sta tentando, da giorni, di violare l’embargo imposto dallo Stato di Israele sulle acque territoriali palestinesi. Un embargo imposto, appunto. Una decisione unilaterale di Israele, portata avanti con tenacia e determinazione dal 2007. A nulla è servita la risoluzione dell’Onu (numero 1860 del 2009) che chiedeva la fine dell’embargo da accompagnare ad una serie di passi diplomatici per il raggiungimento della pace. Imposizione – quella israeliana – che, di fatto, porta la Gaza a vivere di stenti, costretta ad utilizzare il contrabbando come fonte di approvvigionamento di beni di prima necessità. Israele, invece, considera la restrizione della libertà di movimento dei palestinesi come elemento di garanzia dei propri confini.

 

In Grecia, in questi giorni, le pressioni del Governo di Benjamin Netanyahu stanno avendo la meglio. A Corfù si sta giocando un braccio di ferro tra la Fredoom Flottilla 2 e le autorità elleniche. Chi ha tentato di forzare il blocco navale è stato tratto in arresto.

Il cortocircuito è evidente: il diritto internazionale garantisce la libera circolazione delle navi, se in possesso dei requisiti idonei. Ma è chiaro che esistono interessi e pressioni in grado di modificare la prassi e piegarla in favore di supposti interessi superiori.

Le imbarcazioni della Freedom Flottilla, ad oggi, sono attraccate al porto di Corfù. Non arrivano segnali incoraggianti. Tutti gli Stati occidentali hanno salutato favorevolmente l’ostinato tentativo della Grecia di impedire la partenza degli attivisti.

Speriamo che sotto il sole greco si racconti un’altra storia e che gli aiuti umanitari arrivino a Gaza.

Ci sono quesiti ai quali non sono mai riuscito a dare risposta.

La sicurezza di uno stato può valere la morte lenta e inesorabile del vicino?

E se il problema fosse politico? Se la questa Flottilla di attivisti dei diritti umani fosse solo il modo per sottolineare il cortocircuito palese generato in quel fazzoletto di terra, meglio conosciuto come “La Priogione a cielo aperto?”.

05/07/2011
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