Abilitazioni all'insegnamento: come complicarsi la vita

 

Il naufragio della cultura in Italia si consuma ogni giorno, in tutti i settori. In particolare, per i giovani che desiderano diventare insegnanti, la situazione sembra irrisolvibile.

 

Dopo le informazioni di settembre, quando l’ex Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini aveva sostenuto che i posti disponibili per l’insegnamento sarebbero stati nulli per i prossimi tre anni, pochi giorni fa il Miur si è corretto: i posti dovrebbero essere 12.778 per tutta la penisola. Oltre a rimanere oscura la modalità di distribuzione delle cattedre, è rilevante un altro fatto: i posti richiesti dagli atenei per permettere ai laureandi di accedere al mondo del lavoro sono 32.410, ovvero quasi tre volte quelli previsti.

 

La situazione in Piemonte si profila problematica: dei circa 6000 richiedenti solo 2000 troverebbero posto nel mondo del lavoro, oltretutto precario.

 

I problemi sono dunque molti: all’inizio dell’anno scolastico il Miur ha eliminato completamente l’esistenza della SSIS (Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario), ovvero i vecchi corsi abilitanti da seguire per poter accedere alle graduatorie nazionali dell’insegnamento, inizialmente non sostituendola con nessun altro corso integrativo. Successivamente, il ministero ha promosso una laurea magistrale specifica per l’abilitazione, alla quale devono seguire almeno un anno di tirocinio (475 ore di didattica attiva in un anno, ovvero quasi un tempo pieno), ed una serie di esami. Oltre al problema decisionale, (lo studente deve decidere del proprio futuro lavorativo nel corso della triennale) il problema esiste anche sul fronte economico: il costo per le magistrali e i corsi abilitanti sarebbe enorme per le università, in quanto non è previsto un finanziamento statale. È evidente però, dati i bilanci sempre più risicati degli atenei italiani, che il costo necessario ricadrebbe quasi interamente sugli studenti per cifre che vanno dai 4000 agli 8000 euro l’anno. Un costo che si avvicina molto a quello delle rette degli istituti privati, e che esclude dal mondo del lavoro la gran parte degli studenti. Considerando inoltre che i tirocini non sarebbero pagati, oltre a sborsare cifre esorbitanti per lo studio, gli studenti dovrebbero anche lavorare gratuitamente per gli istituti. Fatto che sembra voler sbarrare la strada per il mondo della scuola pubblica sia dal punto di vista studentesco che lavorativo.

 

29/11/2011
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