Diario dalla Palestina #2: Hammer to fall
“Hammer to fall” cantavano i Queen a metà degli anni 80.
Ed un martello si è abbattuto oggi, vicino a Betlemme, dove alcuni attivisti palestinesi hanno messo in atto una protesta simbolica: aprire una breccia nel muro che divide le colonie israeliane dai territori palestinesi.
Non è la prima azione di questo tipo e non sarà l’ultima.
Fa impressione il muro in cemento, alto almeno 6-7 metri, col filo spinato in cima.
Protegge i coloni, segrega i palestinesi: chiude oasi protette e strade riservate ai soli israeliani.
Il territorio della West Bank (o Cisgiordania) è diviso in due da una strada come questa: collega Tel Aviv a Gerusalemme e ad un certo punto le auto palestinesi sono costrette ad uscire.
L’unico aggettivo che viene alla mente è “assurdo”.
Dall’Italia il “muro” ha quasi una dimensione mitica; qui è la più concreta materializzazione di un fallimento.
In molti provano a saltare il muro per cercare lavoro, si stima che in Israele ci siano più di 10.000 lavoratori irregolari e clandestini; a Gaza pochi giorni fa due ragazzi sono stati freddati dall’esercito nel tentativo di sconfinare.
L’Italia oggi guarda gli oltre 100 morti di Lampedusa: non aver sparato non ci rende meno responsabili.
Forse, la politica, oltre a dichiarare il lutto nazionale, dovrebbe tornare a fare il suo mestiere.