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I francesi stanno per comprare l’azienda tessile Varazzi, nella provincia laziale. L’accordo si chiude, mentre fuori i picchetti delle operaie attendono l’esito della trattativa: tutte sono preoccupate di una chiusura della fabbrica, o di licenziamenti in massa. Invece, in apparenza, la sigla del patto, che consegnerà ai francesi la maggioranza azionaria, non altererà gli equilibri: nessuna cacciata, o ridimensionamento contrattuale, o riduzione delle ore; solo una piccola clausola, quasi un’inezia di richiesta, fatta a tutte le operaie. Il consiglio di fabbrica, composto da 11 donne, di cui l’anziana Bianca (O. Piccoli) è la portavoce, si chiude in una stanza, per decidere se votare a favore o no. Ma è davvero un dettaglio quello che chiedono i francesi? O comunque l’importante è salvare il posto? Le domande porteranno le donne a confrontarsi, con rabbia e frustrazione, speranza e indignazione, annullando qualunque differenza di età o provenienza geografica tra loro. E sì, perchè sono italiane, rumene, albanesi, africane, madri di famiglia, giovanissime e anche attempate. Insieme o divise, questo sarà importante, decideranno le sorti di tutte le trecento operaie.

Ispirato a un fatto vero, tratto da un testo teatrale (e si vede!) di Stefano Massini, che l’ha sceneggiato con Michele Placido e Toni Trupia, un bell’esempio di cinema da stanza, molto parlato, che raramente ha varcato i cancelli di una fabbrica. Inevitabile non pensare a “La parola ai giurati”, di S. Lumet, rifatto altre due volte, perchè analoga è la situazione: qui Ottavia Piccolo (una spanna sopra tutte), nel ruolo che fu di Henry Fonda, ha la dolente intensità del buon senso e lotta contro la rassegnazione, cui rischiano di scivolare le altre. Sceneggiatura tesa e senza sbavature, montaggio serrato e buon uso delle musiche, ottima squadra di attrici: da citare almeno, anche, Fiorella Mannoia e Ambra Angiolini.

Coinvolge e sospende il giudizio, lasciando allo spettatore i dilemmi etici che vivono i personaggi della storia: in definitiva, Michele Placido (anche regista e in un piccolo ruolo) ci ricorda che la dignità non ha prezzo, sul lavoro come altrove. Non si può comprare.

E scusate se è poco.

03/11/2016
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