#3 Verso il 21 Marzo – Le mafie in Piemonte

Per anni abbiamo assistito alla sottovalutazione culturale del fenomeno mafioso, al Nord, quindi anche ovviamente qui in Piemonte. Si diceva che i contesti settentrionali non correvano rischi, perchè “qui non siamo al sud”, o perchè “abbiamo gli anticorpi”, o anche perchè “il nostro tessuto sociale non lo permetterà”, e altre sparate superficiali e autoassolutorie. Lo abbiamo sentito dire, a vario titolo, a persone che ricoprivano cariche pubbliche, in frangenti diversi della società, come anche all’uomo della strada. I fatti degli ultimi 5 anni, per citare gli avvenimenti recenti, smentiscono tutto. Il punto è che la presenza mafiosa in Piemonte è vecchia di decenni, non certo dell’ultimo lustro, anche se spesso si dimentica. Proviamo a riavvolgere il film, anche solo per sommi capi.

Il 26 giugno del 1983 la ‘ndrangheta uccide a Torino il procuratore capo Bruno Caccia. Mandante dell’omicidio, dopo aver pensato che fosse un delitto di matrice brigatista, viene riconosciuto Domenico Belfiore, primogenito della famiglia originaria di Gioiosa Jonica, e condannato all’ergastolo. Fino allo scorso dicembre la giustizia non aveva individuato gli esecutori materiali. Qualche giorno prima di Natale 2015, la squadra mobile di Torino ha arrestato Rocco Schirripa, nota conoscenza delle cronache giudiziarie, con l’accusa di essere uno dei killer di Caccia. Nei prossimi mesi, il processo che si aprirà a Milano, proverà ad accertare la sua eventuale colpevolezza.

Negli anni ’80, le guerre per il controllo del territorio, tra catanesi ed ‘ndranghetisti, sono continuate, facendo molti morti.

Nel 1994 a Borgaro Torinese, c’è il maxi sequestro di cocaina (più di 5 tonnelate) ai danni di vari clan ndranghetisti, che porterà al processo Cartagine.

Nel 1995, il primo comune del nord ovest, sciolto per infiltrazione mafiosa è Bardonecchia, provincia di Torino, a causa della presenza pesante dei clan Lo Presti e Mazzaferro, a condizionare l’attività amministrativa della città.

 

Nel 2008 la commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’on. Francesco Forgione, pubblica una relazione sulla ‘ndrangheta: il capitolo sul Piemonte parla di presenza radicata sul nostro territorio e fa saltare i nervi ai nostri amministratori locali, di tutti gli schieramenti, arrivando a definire fantasiosa e diffamatoria la ricostruzione della commissione.

Poi, con l’8 giugno del 2011, tutto cambia. L’operazione Minotauro, scattata all’alba di quella mattina, scoperchia un tombino enorme: 150 persone arrestate, beni sotto sequestro per oltre 117 milioni di euro, 9 locali di ‘Ndrangheta individuate. E ha esiti importanti: dopo il lavoro delle commissioni prefettizie si arriva allo scioglimento di altri due comuni del torinese, Leinì e Rivarolo Canavese, sfiorando anche Chivasso. Il processo, che si articolerà tra rito ordinario (in questo momento in attesa di sentenza di Cassazione) e abbreviato (sentenza già passata in giudicato), vede condanne anche pesanti nelle varie fasi. E’ stato il frutto di anni di lavoro della procura di Torino, coordinata da Gian Carlo Caselli, ed è stato possibile soprattutto per le dichiarazioni del collaboratore Rocco Varacalli, che iniziò a parlare nel 2006. Libera ha chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile nel processo Minotauro e documentato ogni udienza (vedi qui i video).

Dopo Minotauro, sono seguite altre operazioni importanti:

  • Maglio / Albachiara, nel basso Piemonte, 19 arresti, sempre nel giugno 2011.
  • Colpo di Coda, nella zona del chivassese, 22 arresti, ottobre 2012
  • Esilio, zona di Giaveno, 19 arresti, nel maggio 2013
  • San Michele, val di Susa e provincia di Torino, 20 arresti (e complessivi 31 rinvi a giudizio successivi), luglio 2014
  • Hunters, provincia di Torino, 16 arresti, ottobre 2015 (accusa di spaccio e legami con l’Ndrangheta)
  • Big Bang, Torino e provincia, una ventina di arresti, gennaio 2016 (con una coda a inizio marzo)

Anche solo per questa fila di colpi inferti (certo, per molti degli imputati si aspetta ancora sentenza definitiva), alla criminalità mafiosa in Piemonte, sarebbe assurdo parlare di presenza episodica o di liquidare il tutto con l’espressione infiltrazione. Lo dimostrano gli oltre 500 beni, tra sequestrati e confiscati, oggi presenti in Piemonte. Non a caso, ormai c’è chi parla di radicamento come fa Rocco Sciarrone, o peggio di colonizzazione, come fa Nando dalla Chiesa nel suo ultimo libro, mirabile analisi del contesto settentrionale e la presenza delle mafie.

Ormai è  arrivato il momento di ammettere che a queste latitudini, al contrario delle convinzioni che si citavano all’inizio di questo articolo, le mafie hanno trovato un tessuto accogliente (sempre per citare Sciarrone), quindi incline all’illegalità e alla collusione, non sano ed efficiente come l’ipocrisia e la miopia di questi decenni hanno ripetuto come mantra.

Dopo Minotauro, e ciò che è seguito, non ci sono più scuse o alibi. La prossima volta non potremo dire “non lo sapevo”. Ma soprattutto non è finita qui: lunga è ancora la strada da fare, anche qui in Piemonte, sulla strada della consapevolezza e del contrasto alle mafie. Lo dobbiamo alle vittime, anche quelle piemontesi, della violenza mafiosa; lo dobbiamo a noi stessi. Lo ribadiamo ogni giorno lavorando nelle scuole, come sui beni confiscati della nostra regione.

 

18/03/2016
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