27 gennaio: cosa vogliamo ricordare?

 

 

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche dell’Armata rossa entrano ad Auschwitz e liberano i pochi sopravvissuti allo sterminio di massa voluto dalla Germania nazista e dai suoi alleati.

Da quel momento in poi nessuno può più ignorare l’orrore dei campi di concentramento: il mondo è sconvolto e si può dire che nulla da allora sarebbe più stato come prima. L’eredità di quelle atrocità di cui l’essere umano è stato capace di macchiarsi è ancora viva nei ricordi di coloro che l’hanno vissute in prima persona e grava anche sulle generazioni che ne hanno sentito i racconti o che hanno studiato sui libri di storia. Alcune fotografie sono impresse nella memoria di tutti noi in modo indelebile: i corpi scheletrici e nudi in attesa di essere selezionati, quell’enorme scritta all’ingresso di Auschwitz che suona come una beffa: “Il lavoro rende liberi”.

 

Ecco perché oggi a distanza di 67 anni noi ricordiamo tutte le vittime dell’Olocausto.

Ci siamo chiesti a lungo cosa scrivere, per fare memoria in modo non anacronistico, per rendere la complessità di un ricordo che però non è solo questo, che deve essere capace di trasformarsi in impegno e militanza, oggi. Abbiamo pensato di usare un espediente letterario, di immaginarci una distopia in stile orwelliano di un irreale futuro dove lo sterminio si possa riprodurre con nuove forme, nuove vittime e nuovi carnefici. Tuttavia ci è sembrato che le nostre riflessioni fossero irriducibili alla semplicità di un racconto senza sfumature.

Ed ecco quindi che vi riproponiamo un retroscena, una sorta di meta-articolo che metta in luce le domande e i punti di vista che hanno alimentato il dibattito che ogni anno riapriamo sulla giornata della memoria e le modalità con cui vogliamo sentirla e comunicarla.

Tante questioni rimarranno aperte nell’auspicio che possano essere fonte di riflessione per tutti voi lettori.

 

 

 

Ciò che ricordiamo sono quelle persone, quei milioni di volti, di nomi che hanno perso la loro identità e il loro futuro. Ma non vogliamo dimenticarci neanche di coloro che eroici si sono opposti a tale violenza, anche sacrificando la loro stessa vita.

Vogliamo riflettere sul peso storico della cosiddetta “zona grigia”, di tutti coloro che con il loro silenzio e la loro indifferenza hanno reso possibile tutto questo.

Ma cosa significava essere Cittadino in quel momento storico? In un regime totalitario chiedere democrazia è una lotta, una rivoluzione. E oggi?

 

Il nazismo si è sviluppato in un’epoca di crisi per l’intera Europa ma soprattutto per la Germania. Ed è proprio nei momenti in cui l’economia ha subito duri colpi che si sono sviluppate tensioni sociali che hanno spesso portato all’affermazione di regimi totalitari o dittatoriali. E questo succede ancora oggi: basta pensare ai Paesi mediterranei dell’Africa, ad alcuni Paesi dell’America Latina e del Medio Oriente. Anche se si può dire che la Shoah sia l’orrore più grande della storia dell’umanità, non sembra che il mondo abbia imparato completamente la lezione: negazione di diritti, uso illecito del potere, diseguaglianze sociali rimangono ingredienti  del nostro vivere sociale.

Con alle spalle un biennio in cui il sistema capitalistico è entrato in una crisi profonda stiamo osservando come le difficoltà economiche, la disoccupazione, il malessere possano sfociare in atti violenti e razzisti. Questo avviene sotto i nostri occhi, ma quanto di tutto questo abbiamo già accettato? Quanto siamo stati capaci di reagire?

 

Ognuno è l’ebreo di qualcuno” scrisse Primo Levi in un suo romanzo nel 1982, ed è forse la convinzione che lo indusse anni prima a firmare un manifesto che condannava il militarismo israeliano in Medio Oriente. La causa originaria della discriminazione e della violenza è il sentire di essere superiori a qualcun’altro. Forse a volte dovremmo fermarci a riflettere.. Chi è il mio ebreo? A chi mi sento superiore?

 

Ricordare è non dimenticare. Ricordare è rivivere il passato nel presente. Ricordare è guardare criticamente dentro la storia e dentro se stessi. Perché non accada mai più.

 

 

 

27/01/2012
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