Un 17 marzo ogni 150 anni



Il 17 marzo sarà festa nazionale, decisa dal Consiglio dei Ministri tramite una votazione e emanata tramite un decreto ministeriale. 150 anni prima Vittorio Emanuele II aveva assunto il titolo di Re d’Italia, ultimo atto del processo di unificazione, compiuto da Garibaldi con la spedizione dei Mille, che aveva conquistato le due Sicilie borboniche col sostegno, prima diplomatico e poi anche militare, di Vittorio Emanuele II e di Cavour. Le paure di quei giorni di un secolo e mezzo fa erano numerose: i Savoia giudicavano parte dell’esercito garibaldino alla stregua di repubblicani o peggio briganti. Dall’altra parte alcuni tra i Mille non digerivano l’idea di aver liberato il Sud Italia da una monarchia per riconsegnarlo ad un’altra.
Passati 150 anni le paure ancora sussistono.
Il presidente della Provincia autonoma di Bolzano ha dichiarato, poche settimane fa, che la Provincia da lui governata non avrebbe partecipato alle celebrazioni per i 150 anni dall’Unità d’Italia. Luis Durnwalder ha detto di essere parte di una minoranza austriaca che non aveva potuto scegliere di far parte dell’Italia.
Durnwalder ha avuto in seguito un confronto ‘epistolare’ con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale ricordava al Governatore di essere il rappresentante di tutta la popolazione altoatesina, compresi coloro che parlano l’italiano o il ladino.
Ormai però la porta era spalancata alle polemiche.
Senza dimenticare che lo statuto partitico della Lega Nord conserva nel suo primo articolo le intenzioni secessioniste del presunto popolo padano, i ministri Bossi e Calderoli hanno preso posizione dichiarando che la festa poteva farsi ma senza dover bloccare le attività produttive del Paese, con questa motivazione si sono trovati d’accordo il ministro dell’Istruzione Gelmini e il ministro del Lavoro Sacconi. Con il gruppo del “no all’astensione dal lavoro” si era esposta anche la presidentessa di Confindustria Marcegaglia.
Calderoli ha spiegato la sua posizione giudicando rischioso fare un giorno in più di vacanza “in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia”. Dall’altro lato dello stesso Consiglio dei Ministri si schieravano, favorevoli ai festeggiamenti, all’interruzione lavorativa e alla classificazione di primo grado della ricorrenza del 17 marzo, il ministro della Difesa La Russa, il ministro delle Politiche Giovanili Meloni, e il ministro del Turismo Brambilla.
Come detto in apertura le paure sono rimaste sebbene non riguardino più l’Unità d’Italia in sé ma i costi dei suoi festeggiamenti o il riconoscimento in essi di un’identità nazionale.
In ogni caso l’accordo è stato trovato: come voleva La Russa la festa si farà, e i costi saranno sostenuti proprio dalla revoca dei provvedimenti usuali che definivano il 4 novembre, Festa delle Forze Armate, una ‘semifestività’ (giorno in cui si lavora ma si guadagna di più di una giornata normale anche se meno di una giornata festiva), «al fine di evitare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150mo anniversario dell’Unità d’Italia». Il 4 novembre, dunque, non verrà pagato come festività soppressa spiega il decreto ministeriale. Rimane da chiedere al ministro La Russa, se non all’intero Consiglio dei Ministri, perchè l’Unità d’Italia si festeggi un giorno solo ogni 150 anni e perchè quest’anno la Festa delle Forze Armate sia suscettibile di degradazione.

22/02/2011
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