Segreti e bugie

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In questi giorni, alcune questioni scuotono la politica italiana, a livello sotterraneo. Da una parte la vicenda Genchi, consulente informatico, balzato all’onore delle cronache nell’ambito della vicenda sulle intercettazioni; dall’altra gli strascichi del processo sul rapimento di Abu Omar. Nel primo caso, l’assurdo e il grottesco sfiorano la fantasia: Genchi passa per il mostro di turno, la sua abitazione perquisita e i suoi pc sequestrati, in Parlamento si discute del tutto, come se fosse il problema principale stabilire quante conversazioni ha intercettato. Nessuno arriva a dire, invece, che la ragione più evidente di tutto è un’altra: Genchi ha indagato sulla strage di Via d’Amelio, andando a toccare equilibri delicati, cioè il ruolo dei servizi segreti deviati. Nel caso Abu Omar, il tutto ha il marchio del “segreto di stato” e difficilmente il processo punirà i responsabili di un crimine assurdo:  non solo un rapimento illegale, mesi di tortura in Egitto (già questo basterebbe come violazione dei diritti umani), ma il tutto su un innocente.

Il sapore di amaro pervade entrambe le vicende. Che esista la “ragione di stato” è storia vecchia quanto l’uomo, ma in questo caso sorgono troppi dubbi. Il Potere, quello con la p maiuscola, si tutela nel modo più meschino, per coprire azioni che, oltre tutto, non sono certo encomiabili. Fare saltare in aria un giudice o avallare tacitamente i peggiori riflessi del “Patrioct Act”, non sono certo prerogativa dello Stato o delle sue articolazioni, nemmeno quelle segrete. O non dovrebbe essere così. Ma di questi tempi, tutto sembra capovolto.

Lasciamo il finale al buon Gian Maria Volontè, in un profetico film degli anni ’70.

20/03/2009
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