Processo Amiat: Rossi sentito in aula

 

 

di Mattia Anzaldi

 

Nell’aula 44 del palazzo di giustizia di Torino si è tenuta la quarta udienza del “processo AMIAT”, scaturito dalla denuncia di tentata corruzione da parte dell’ex-vicepresidente Raphael Rossi. Dopo essere stato ascoltato nella precedente seduta di febbraio dal pm Pellicano sui fatti riguardanti l’entrata di Rossi nel consiglio d’amministrazione di AMIAT e la successiva proposta d’acquisto del discusso macchinario, il testimone chiave si è addentrato nelle fasi che hanno riguardato la proposta corruttiva, prima da parte di Giordano (ex presidente AMIAT), successivamente da Succio (contabile di WMPress).

 

Questa nuova udienza si apre innanzi tutto con due buone notizie: la prima, AMIAT ha iniziato a pagare le spese legali a Raphael Rossi, testimoniando il suo -seppur ritardatario- supporto; la seconda, il Comune di Torino ha approvato alla quasi totale unanimità un ordine del giorno, presentato da Sel, Movimento 5 Stelle e Italia dei Valori, per invocare la costituzione di parte civile del Comune di Torino, l’anticipo delle spese legali, oltre che per incentivare azioni concrete di sensibilizzazione da parte dell’Amministrazione nella lotta alla corruzione. Questo ordine del giorno impegna, peraltro, la Giunta di Torino a trasmettere le udienze del processo in diretta streaming sul sito del Comune. E’ bene osservare che quest’ultima aspettativa è stata stamane disattesa.

 

L’interrogazione del pm Pellicano aiuta a delineare un quadro nitido all’interno della quale è maturata la vicenda criminale. Si parte da quel settembre 2007, nel quale l’ex presidente di AMIAT Giordano fa intendere a Rossi che “se la cooperazione sull’acquisto (del macchinario, ndr) fosse andata in porto, ci sarebbe stato qualcosa per tutti”. Giordano, da pochi mesi dimessosi dalla presidenza, svolgerà sempre un ruolo di mediazione tra Raphael, il principale oppositore dell’acquisto di un macchinario considerato inutile oltre che viziato da gravi negligenze amministrative e procedurali, e il triumvirato firmato WMPress: Gonella (direttore), Succio (contabile) e Malaspina (proprietario). Quello che viene chiesto al signor Rossi è di cambiare parere nel merito dell’acquisizione del macchinario. Più difficile a dirsi che a farsi: o non si presenta alla votazione di consiglio, oppure comunica il suo parere (ora mutato in positivo nei confronti dell’acquisto) attraverso una memoria scritta. In ognuno dei due casi “50 mila euro è quello che prendo io. Lo stesso puoi avere anche tu”, gli confessa Giordano. Davanti allo stupore poi le giustificazioni gelano: “E’ la prassi; quelli più su pagano tutto l’arco costituzionale”. “La filiera” si ingrandisce. Raphael denuncia tutto il 23 novembre 2007 e inizia a collaborare con le forze dell’ordine.

Intercettazioni ambientali e telefoniche -come ben raccontato nella deposizione dell’ispettore di polizia che ha curato le indagini- fotografano chiaramente le dinamiche e i colloqui di diversi incontri, alle quali parteciperà anche Succio, contabile di WMPress oltre che -come presumibile- tramite dell’intera impresa di Malaspina. L’architettura dell’eventuale trasferimento di denaro lascia trasparire una certa, allarmante, consuetudine. “Quando facciamo operazioni estero su estero lasciamo gli utili fuori dall’Italia. Con quei fondi creiamo provvigioni per questi scopi” e poi via via si delinea anche un definito tariffario per la consegna del denaro: fatturabile, prelevabile in Svizzera o direttamente a domicilio. Se da un punto di vista concettuale, delle motivazioni etiche e politiche che costituiscono l’ossatura dell’impianto accusatorio, tutto appare palesemente chiaro, da un punto di vista strettamente giuridico sembra che il terreno di discussione sia più friabile. Constatazione, per la verità, sempre manifesta nei processi per corruzione. Basti pensare al pericoloso inghippo nella quale cadde il pm Pellicano ad inizio processo, rischiando di confondere il reato di “tentata corruzione” con quello di effettiva “corruzione”. Sottigliezza non solo formale, visto che vale uno sconto di due terzi della pena. Sottigliezza che è valsa il solo anno di condanna inflitta con patteggiamento a Giordano durante l’udienza preliminare.

 

Il gioco della difesa, dell’avvocato Zancan in primis, sembra tendere -non senza forzature- verso la tesi che inquadrerebbe Rossi come “agente provocatore”, quindi in una qualche misura responsabile dello svolgimento dei fatti. Questo quadro è naturalmente celato dietro il riflesso dei ruoli e delle parti, ma ben emerge nell’analisi e nella comparazione dei tabulati telefonici. Avendo Rossi infatti intrattenuto numerose telefonate con Giordano sarebbe riscontrabile, a dir della difesa, un ruolo più o meno velato di forzatura da parte del testimone, affinché la proposta corruttiva si esplicitasse manifestatamente. Posizione che pare forzata, certo, dato che il fine ultimo della collaborazione attiva con le forze dell’ordine va proprio nel senso dell’inconfutabilità del gesto criminale. Una proposta esplicita dunque, che comunque non si è fatta attendere, come sappiamo. Il giudizio sembra scontato, oltre che prossimo. La corte ipotizza di raggiungere un verdetto finale entro l’udienza del 18 giugno prossimo, per poter così decretare concluso almeno l’iter di primo grado.

17/04/2012
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