Nostalgia di Pier Paolo

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Il 2 novembre del 1975 moriva Pier Paolo Pasolini, certamente una tra le personalità più eclettiche del Novecento. Poeta, scrittore, critico, saggista, editorialista e regista; ma soprattutto profeta, capace della profonda vis polemica dell’intellettuale e dotato di una smisurata cultura, omosessuale dichiarato e profondamente affascinato dalla religione e dal Sacro, regista criptico e ruvido, ma certamente singolare… queste solo alcune delle mille vite, di Pasolini.

Se ne andò il giorno dei Morti, all’Idroscalo di Ostia, ucciso brutalmente: uno dei ragazzi di vita, di cui Pasolini aveva scritto nel suo omonimo romanzo e alla cui idealità era rimasto legato tutta la vita, si accusò del suo omicidio. A più di trent’anni dalla scomparsa, non sappiamo la verità completa: troppe ombre, contraddizioni, omissioni, insabbiamenti, nella cornice violenta e golpista della metà degli anni ’70. Si è detto e scritto di tutto: che Pasolini avesse capito il complotto che stava dietro la morte di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, e che lo stesse scrivendo nel romanzo “Petrolio” (che uscirà postumo e incompiuto anni dopo); che fosse una vendetta di gruppi neo-fascisti; che c’entrasse con il ruolo di inesauribile polemista e critico assunto da Pasolini negli anni (gli scritti corsari, il celebre pamphlet “Io so”, sulle stragi nere di quegli anni); che avesse un’attinenza con il suo ultimo film, che il regista non fece in tempo a completare del tutto e che verrà denunciato per oscenità, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

Poco importa, ormai. Il punto, scusate l’affermazione un po’ atroce, è che lui non c’è più e noi ci sentiamo più poveri. Perchè avremmo voluto che ci parlasse del declino morale italiano degli anni ’80 e del consumismo, che vedesse il crollo dell’Urss, che raccontasse un mondo globalizzato e sotto la minaccia del terrorismo internazionale.

Perchè ci avrebbe messo alla prova e in discussione, con tutta probabilità non sarebbe stato tenero e avrebbe scelto sempre la via più difficile e rigorosa.

 

Lui, Pasolini, il poeta, come lo definì Alberto Moravia alle esequie pubbliche.

 

Quello che fu condannato per atti osceni in luogo pubblico, con due minori, per una vicenda alla fine degli anni ’40. Colui che si schierò pubblicamente contro la legge sull’aborto, in un editoriale che fece scalpore. Colui che tentò di mettere in guardia una generazione dal pericolo dell’omologazione e del consumismo.L’intellettuale che imbarazzò il PCI, per le proprie critiche e le posizioni d’avanguardia, mal tollerate dal Partito. Il poeta che tutti spiazzò, quando scrisse i versi dopo gli scontri di Valle Giulia, tra poliziotti e studenti, nel 1968. L’uomo che aveva cantato l’innocenza dei ragazzi di vita, il loro sfrenato vitalismo misto a ingenuità, e per loro (se non per mano loro) era morto squallidamente, vicino al mare di Ostia.

Tutto questo, nelle contraddizioni e nei lampi di folgorante genialità, era Pasolini. E molto altro ancora.

 

Fondamentalmente ne sentiamo la mancanza.

 

02/11/2011
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