Non basta dire "Banzai"

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Il “conflitto”  è artefice di trasformazione. L’Italia ha bisogno di trasformazione e dunque ha bisogno di conflitto.

Certo.

La rassegnazione è la droga più diffusa: “Le cose vanno male… anzi vanno da schifo, ma tanto non cambia mai niente” e giù una sfilza più o meno sofisticata di argomenti. La rassegnazione è droga, perchè risolve l’indignazione in impotenza. E tutto finisce lì.

La mafia si mangia l’economia legale: ecchè ci posso fare?

L’Italia è  uno dei paesi più corrotti al mondo: idem

La stampa è  monopolizzata e intimidita.. la magistratura castrata e privata di mezzi… i migranti trattati come bestie da macello (a meno che non siano “animali domestici”!)… la scuola sbranata… la sanità pubblica abbandonata… l’ambiente mercificato e violentato… la tragedia strumentalizzata…

a Napoli si direbbe: adda i a cussì (NdR Deve essere così. Non c’è  niente da fare).

 

Non c’è  dubbio: l’Italia ha bisogno di “conflitto”, perchè ha bisogno di trasformazione.

Ma di che conflitto stiamo parlando?

Chi semina vento, raccoglie tempesta.

Ci sono alcune opzioni di fondo che ci fanno discernere tra il conflitto che vogliamo innescare e vivere e il conflitto che vogliamo allontanare dalla Storia.

 

Prima opzione: la non violenza. Amiamo questa Repubblica e ci riconosciamo nella guerra di Liberazione che l’ha resa possibile. Quando ci rifacciamo alla non violenza quindi, lo facciamo relativamente a questo contesto costituzionale, democratico e repubblicano che abbiamo avuto la fortuna di ereditare da chi ha pagato con la vita. Torino è la città di Fulvio Croce e di Bruno Caccia:  il primo ucciso dalle BR, il secondo dalla mafia. Fino a che questa Costituzione vivrà, coloro che agiranno la violenza per innescare o gestire il conflitto, saranno da considerarsi avversari: che siano manifestanti-picconati, che siano agenti-picchiatori, che siano mafiosi-minacciosi, che siano razzisti-variopinti.

 

Seconda opzione: la responsabilità della verità. Ha detto Antonio Albanese: “Ho paura delle persone rassegnate, perchè le persone rassegnate non hanno bisogno della verità”. C’è una specie particolarmente spaventosa di “rassegnati”: i rassegnati alle proprie idee. Quelli che non sanno mettersi in discussione, quelli che pensano di avere in tasca la verità ultima e la brandiscono come e peggio di un manganello. Accecati, arroganti: semplificano per confondere, confondono per condizionare. La verità invece consegna una realtà complessa, fatta di responsabilità individuali precise, che non possono essere eluse. Ma la complessità è nemica di chi si è fatto misura del mondo.

 

E così che, applicando schemi di plastica sulla realtà, un uomo come Gian Carlo Caselli diventa inevitabilmente un nemico, un giustizialista, probabilmente uno di quelli che “dovrà pagarla cara”. Un uomo che con la sua famiglia ha sacrificato salute, serenità, beni e carriera pur di restare a servizio di questo Paese. Un uomo contro cui le BR preparano almeno due attentati, altrettanti la mafia siciliana, un uomo che solo una violenza più alta è riuscito a frenare: la violenza di una maggioranza che con il suo Governo gli ha fatto contro una legge ad personam.

 

Se riesce, sorrida giudice Caselli: i mafiosi le danno del comunista, i manifestanti-confliggenti le danno del fascista. Buon segno.

 

Anche ai giornalisti chiediamo verità: può essere seducente mostrare il mare come fosse un’onda devastante e gigantesca come uno tsunami. Lo tsunami è  però solo un fondale in compensato, come quelli che si usavano nei vecchi western. Sarebbe ora di andare oltre e di mostrare il mare per quello che è: immenso di tante onde, che si sono fatte rappresentanze studentesche universitarie, che amano la scuola pubblica e la ricerca libera, che hanno idee, progetti e capacità. Che manifestano e lavorano quotidianamente con serietà. Meno spettacolare forse, ma più vero.

 

Davide Mattiello

presidente ACMOS e Libera Piemonte

 

10/07/2009
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