Mafia in Piemonte: "teniamo gli occhi aperti"

di Marika Demaria, Narcomafie

«Antonio Gramsci sosteneva che l’indifferenza è il peso morto della storia. Fino a quando noi ci affacceremo alla finestra guardando gli altri che fanno la storia, la storia non cambierà». Il monito arriva da Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, davanti ad una platea di studenti e docenti presenti nell’Officina 21 presso la sede del Gruppo Abele.
Il magistrato ha raccontato del suo desiderio, esternato fin da piccolo, di fare il giudice, della sua amicizia con Giovanni Falcone e dell’appuntamento mancato con la strage di Capaci: il volo del 22 maggio rinviato, per Falcone e la moglie, al giorno dopo, mentre Grasso – che avrebbe dovuto viaggiare con loro – rientrò a Palermo con uno degli ultimi voli di quel venerdì. Sono anni in cui il magistrato vive come collaboratore della Commissione Parlamentare Antimafia e del ministero di Grazia e Giustizia per poi approdare alla Procura nazionale antimafia, che ha lasciato nel 1999.
Dopo essere stato Procuratore della Repubblica di Palermo, dall’ottobre 2005 è procuratore nazionale antimafia: un passaggio che lui stesso definisce, nel suo libro Per non morire di mafia, un passaggio dalla “trincea” al “quartier generale”. Perché? «Prima ero in prima linea, coinvolto in prima persona con il mio lavoro. Adesso le mie responsabilità sono mutate – sottolinea il procuratore – perché il mio ruolo implica lo studio degli sviluppi della criminalità organizzata, ormai transnazionale, elaborando con i miei colleghi tecniche e strategie utili per contrastarla».
Un fenomeno, quello delle mafie, che non riguarda solo la sfera dell’illegalità ma anche quelle economica, sociale, culturale. «Una regione come il Piemonte offre un contesto sano, dunque risulta difficile percepire i fenomeni mafiosi. E se è vero che questa regione ha dato i natali a persone quali il Procuratore Bruno Caccia e il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, è altrettanto vero che è qui che si sono registrati i primi sequestri di persona, come quello del magistrato genovese Mario Sossi».
Un dato altrettanto allarmante è che, secondo l’ultima relazione della Dna pubblicata nel dicembre 2010, il Piemonte, esclusa la Calabria, è la seconda regione dopo la Lombardia al centro degli interessi della ‘ndrangheta. «Non dobbiamo più pensare alla criminalità organizzata in termini di coppola e lupara, ma a delle persone laureate, in giacca e cravatta, capaci di investire in borsa». I recenti fatti di cronaca – non ultima l’operazione “Crimine” che ha portato all’arresto di oltre 300 persone tra Calabria e Lombardia, dimostrano quanto il fenomeno sia nazionale, internazionale e transnazionale. «Presto – annuncia Pietro Grasso – vi accorgerete che anche il Piemonte non è immune dal fenomeno ‘ndranghetista. Anzi»

19/05/2011
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