Mafia in Piemonte, il futuro ha già vent’anni

di Elena Ciccarello



Se si smettesse di affrontare la questione “mafie al nord” attraverso i termini spesso sterili dello scontro politico, per guardare invece a fatti e circostanze accertate, forse cesserebbero finalmente polemiche noiose, stantie e fuorvianti. Con buona pace degli increduli, se non ci si chiedesse più – il tempo per queste domande è scaduto – se le organizzazioni criminali siano presenti anche nel prospero settentrione o se nel consolidamento del loro potere mostrino la necessità e l’interesse a interloquire con chiunque sia utile al loro scopo (professionisti, amministratori o faccendieri di ogni risma), forse si riuscirebbe ad alzare l’asticella del dibattito.
Se non si sventolasse più il soggiorno obbligato come lo spauracchio che ha cambiato le sorti di questa parte del Paese e ci si rassegnasse all’idea che i boss sarebbero arrivati comunque, spinti dagli affari e favoriti dalle migrazioni (sono arrivati fin nelle Americhe e in Australia, figurarsi risalire lo stivale), ci si potrebbe invece chiedere che cosa non ha funzionato nella politica e nelle istituzioni, nelle associazioni di categoria e nelle procure, se nel corso degli ultimi 50 anni non si è riusciti a evitare che la colonizzazione mafiosa diventasse pervasiva e sistematica anche ai piedi delle Alpi.
Leggere “Coabitazioni mafiose. La piovra, la politica, le istituzioni in Piemonte”, opuscolo edito dall’allora Circolo “Società Civile” presieduto da Nicola Tranfaglia e distribuito come supplemento a «Il Paese Nuovo» del 14 dicembre 1992, da questo punto di vista è come un biglietto di ritorno verso il futuro. Nelle sue poche pagine si trovano snocciolati nomi e processi che testimoniano di scivolosi rapporti tra uomini della mafia ed esponenti di spicco della politica piemontese (con particolare riferimento all’allora vice-segretario provinciale del Psi Giovanni Iaria), di omicidi maturati nel selvaggio mondo dell’edilizia e di meccanismi di gestione del consenso che «sembrano riguardare altre zone d’Italia dove è decisiva la rilevanza dei voti controllati dalla criminalità organizzata». Un approccio alla materia, nel sabaudo Piemonte, che forse si sta di nuovo, pian piano, riconquistando. Nella speranza che il costruendo futuro di consapevolezza non sia mai più ricacciato nell’oblio di un passato presto dimenticato.


da narcomafie.it

11/04/2011
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