Lotta alla povertà: cos’ha fatto la politica italiana?

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Il 20 febbraio scorso si celebrava la Giornata mondiale della giustizia sociale. Dedicata alle disuguaglianze, alle opportunità e a uno sviluppo inclusivo di ogni parte delle comunità umane. Nello stesso giorno di questo 2015, ActionAid ha pubblicato il rapporto Lotta alla povertà: cos’ha fatto la politica italiana?, analisi, dettagliata in numeri e correlazioni, del nesso tra indigenza e interesse politico, in un Paese facente parte della sfera occidentale del mondo “ricco e civilizzato”; di quei Paesi in cui, il più delle volte, giornate come il 20 febbraio rimangono al massimo una celebrazione, appunto. Per capire meglio la relazione spiegata nel rapporto abbiamo fatto qualche domanda a Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia.

 

Per il 2013, Istat fotografa la situazione economica delle famiglie italiane con un numero: “Il 23,4% vive in una situazione di disagio economico, per un totale di 14,6 milioni di individui”. L’anno prima lo stesso indicatore dava una cifra più alta, il 24,9%. Questo significa effettivamente che la situazione sta migliorando?
Purtroppo il dato della povertà assoluta – cioè la più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone delle primarie necessità per il sostentamento umano, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione – va letto all’interno di una fotografia più ampia. Il dato riguardante la povertà assoluta segnala un leggero miglioramento ma si tratta di numeri ancora esigui, che rispecchiano l’andamento della Ue a 28 Stati, dove appunto gli individui in povertà assoluta sono passati dal 9,9 al 9,6%. Ci sono altri indicatori che forniscono un quadro più completo: prendiamo ad esempio i dati sulla povertà relativa che mostrano delle disparità e disuguaglianze regionali enormi: nel Nord Italia la povertà relativa si attesta su una media del 6%; nel Mezzogiorno raggiunge il 26%.
Secondo i dati Istat è poi aumentato il numero delle persone che in Italia vivono in famiglie quasi totalmente prive di lavoro; inoltre sul fronte giovanile, condividiamo con l’Europa un triste primato: rispetto al 2012 infatti, è aumentato il numero dei giovani tra i 15 e i 26 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti neet; si tratta del 26% degli under 30, quindi più di 1 su 4. Numeri tre volte superiori a quelli della Germania, solo per fare un esempio.

 

La pubblicazione “Lotta alla povertà: cosa ha fatto la politica italiana?” realizzata da ActionAid in collaborazione con Open Polis e diffusa in occasione della Giornata mondiale per la giustizia sociale presenta i numeri che descrivono la distanza tra istituzioni e necessità dei cittadini, soprattutto dei più deboli. 35.128 atti presentati nel corso della XVII Legislatura che ha preso avvio nel marzo 2013, solo 286 si occupano di inclusione sociale, quindi lo 0,8%. Più numerosi sono i provvedimenti di carattere politico ed economico. Potremmo dedurre che cambiando politica ed economia muteranno anche povertà ed inclusione sociale?
Sicuramente le politiche di contrasto alla povertà assoluta in Italia rimangono deficitarie. Per questo, anche insieme ad altre organizzazioni all’interno della coalizione Alleanza contro la povertà, ripetiamo al Governo e ai politici la necessità un piano di azione nazionale. Quindi direi che oltre a cambiare politica, bisognerebbe cambiare strategia e trattare la lotta alla povertà come un obiettivo su lungo periodo e non soltanto con misure emergenziali e di breve periodo. Poi c’è anche una questione economica, cioè di risorse stanziate. Se valutiamo le misure destinate all’inclusione sociale, non possiamo ignorare che c’è anche un problema di fondi, a partire dal Fondo Politiche Sociale. Dal 2008 al 2015 le risorse stanziate per questo Fondo hanno subìto una diminuzione dell’80%, mentre il numero dei poveri è raddoppiato nello stesso arco temporale. Facciamo anche l’esempio della Social Card: gli stanziamenti per il 2015, sono stati decisamente superiori rispetto a quelli per la vecchia Carta Acquisti e per la Social Card Sperimentale. Tuttavia, tale aumento dei finanziamenti potrebbe non risolvere le inefficienze della misura, che sono state già riscontrate nella prima sperimentazione e al contempo resta una misura provvisoria. Questo non fa dunque compiere una scelta politica di più ampio respiro, che invece è necessaria a favore del contrasto all’esclusione sociale, con il rischio che le sperimentazioni si spengano progressivamente, senza ulteriori azioni in materia.

 

Come diceva prima, negli ultimi 7 anni il numero degli italiani in povertà assoluta è più che raddoppiato (dai 2,4 milioni del 2007 ai 6 milioni del 2013). L’Italia non ha ancora adottato una misura nazionale contro la povertà (unico Paese insieme alla Grecia): Gruppo Abele e Libera, con la campagna Miseria Ladra, propongono l’istituzione del reddito minimo garantito. Perché politicamente sembra un traguardo ancora molto lontano? Quale via va percorsa per arrivare a introdurre il Reddito di inclusione sociale (REIS) e a quali esigenze questo dovrebbe rispondere?
Possiamo dire che c’è sicuramente un problema di tempi: la politica nazionale ha iniziato una discussione seria sull’introduzione del REIS solo recentemente. Ci sono stati in passato alcuni tentativi e sperimentazioni di reddito minimo, sia a livello regionale che comunale, ma sempre in assenza di un quadro nazionale. In questo momento in Parlamento sono depositate diverse proposte di legge sul Reddito minimo o su Reddito di cittadinanza, ma faticano ad entrare in una seria discussione nelle commissioni e nelle aule parlamentari. Crediamo che la via per arrivare al REIS debba coinvolgere anche soggetti della società civile organizzata come l’Alleanza per la povertà e essere una via che affianca al contributo monetario, una serie di servizi per la persona, per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, interventi educativi, servizi riferiti a bisogni di cura. La politica dovrebbe assumersi la responsabilità di un programma, ossia, non soltanto “tamponare” lo stato di povertà, ma fare in modo che le persone possano diventare autosufficienti e escano da questa condizione.

 

Le risorse destinate al Fondo Politiche Sociale, dal 2008 al 2015, sono diminuite dell’80% a fronte di un aumento di circa il doppio del numero dei poveri. Sono state attuate misure alternative o l’obiettivo non dichiarato è quello di azzerare il Fondo?
Le misure di contrasto alla povertà finanziate dalla Legge di Stabilità sono state scelte di orientamento governativo e quindi è giusto attribuire all’esecutivo la maggiore responsabilità nella definizione e promozione di queste misure. Va quindi sottolineato che il Governo ha deciso di confermare le risorse stanziate (300 milioni di euro) per il Fondo; ciò nonostante va tenuta in considerazione appunto l’evoluzione storica che ci fa dire che queste risorse non sono sufficienti. Per il 2015, è stato poi stabilizzato il bonus di 80 euro, sul quale il premier Renzi ha puntato molto. La nostra valutazione però è che non abbia avuto effetti sulla domanda interna tali da far pensare a un reale impatto sulla povertà a livello nazionale; cioè non ha accresciuto il potere di spesa delle famiglie italiane. Inoltre, non si tratta di una misura di contrasto alla povertà assoluta, visto che l’accesso al bonus 80 euro riguarda un numero limitato di persone, prevalentemente con reddito medio.

26/02/2015
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