Lea Garofalo: al via il processo per fare Giustizia


di Giulia Rodari


Il corpo non c’è. Non abbiamo le prove si siano verificati i fatti e che la signora…insomma spero goda ancora di ottima salute”. Uno degli avvocati difensori seduti in prima fila parla della donna in quanto presunta assassinata, senza prestare troppa attenzione alla selezione delle parole giuste. Il Pm risponderà durante il suo intervento dicendo che “ebbene si, mi spiace, ma la signora è morta; vorrei tanto fosse come diceva prima, avvocato”.


É il 6 luglio 2011, data della prima udienza del processo Lea Garofalo tenutosi presso la Corte d’Assise di Milano.


Il corpo al centro della questione è il suo e la sparizione è causata dal suo scioglimento nell’acido. La sua è una storia di 53 chili finita in una pari quantità di acido e seppellita in un campo a San Fruttuoso, in Provincia di Monza, come si saprà poi dalle testimonianze.


L’ex collaboratrice di giustizia – Lea Garofalo, cresciuta a Petilia Policastro, in Provincia di Crotone, nelle faide tra le famiglie Garofalo e Mirabelli, si sposa con Carlo Cosco, il cui prestigio aumenta entrando nella cerchia del capoclan Floriano, fratello di Lea. Trasferitasi a Milano, quando nel 1996 suo fratello viene arrestato, decide di collaborare con la giustizia: racconta gli omicidi di mafia avvenuti in città negli anni ’90, lo spaccio di droga e le attività di marito e parenti. Il 31 luglio 2002, divenendo collaboratrice di giustizia, accede, insieme alla piccola figlia Denise, al programma di protezione fino al 2009 quando decide di riprendere i contatti con il suo paese. Nella speranza di ottenere il diritto a una vita senza paura, Denise è la sua polizza di assicurazione sulla vita. Carlo, infatti, si mostra disponibile procurandole un appartamento a Campobasso; la lavatrice è l’unica cosa che non funziona.

Il 5 maggio dello stesso anno un tecnico si presenta alla porta per la riparazione; entrando aggredisce la donna nel tentativo di sequestrarla. Quel giorno però la figlia è a casa e l’uomo fugge. Stando alle deposizioni rilasciate dalla ex collaboratrice di giustizia ai carabinieri, “l’aggressore ha un tatuaggio strano sul collo”. Le indagini si concentrano su Massimo Sabatino, precedentemente detenuto per traffico di stupefacenti, trovando conferma nelle impronte digitali rinvenute. Compare poi il tatuaggio ed emergono i contatti che l’uomo ha con Carlo Cosco. Ciononostante, a novembre Lea decide di incontrare il marito a Milano per parlare del futuro di Denise; il 24 novembre si incontrano tutti e tre a casa sua, poi si separano quando la figlia viene accompagnata a salutare gli zii mentre la mamma va in centro. Le telecamere inquadrano la passeggiata fino al momento del rapimento, avvenuto alle ore 18.37 nei dintorni dell’Arco della Pace.



Prima Sezione della Corte d’Assise di Milano, 06 luglio 2011 ore 10 – E’ difficile entrare nell’aula affollata di parenti. Genitori, mogli, figli, cugini e zii di quelli che sono i sei imputati dell’udienza. Tutti vestiti in maglietta, jeans e scarpe da tennis, sono chiusi in una cella sulla sinistra della stretta e corta stanza da cui salutano contenti quei volti che vedono tanto raramente.


Al processo, presieduto da Filippo Grisolia, erano presenti gli imputati  Carlo Cosco, Giuseppe Cosco detto Smith, Vito Cosco detto Sergio, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e  Carmine  Venturino.  Carlo Cosco è accusato di aver “predisposto e organizzato l’agguato diretto a sequestrare, interrogare ed uccidere la vittima” mentre Sabatino Massimo e Venturino Carmine di averla sequestrata e consegnata a Cosco Vito e a Cosco Giuseppe, i quali l’avrebbero “interrogata e poi uccisa con un colpo di pistola”. Su tutti gli imputati pende invece l’accusa di aver “distrutto, mediante dissolvimento in acido, il cadavere di Lea Garofalo” volendo simulare un suo spontaneo allontanamento. Si propongono le aggravanti della premeditazione e del favoreggiamento dell’attività di un’associazione di tipo mafioso – cosca di Petilia Policastro della ‘ndrangheta.


Presentatesi a parti civili i Comuni di Milano e di Petilia Policastro, le Province di Crotone e di Reggio Calabria, la difesa si è adoperata per limitarne le presenze sostenendo come “di questi tempi ci sia la costituzione a parte civile di chiunque” quando la legittimità andrebbe concessa a tutela di un interesse comune o l’esistenza di un reale danneggiamento e non “a un improbabile sfregio di immagine perché gli imputati sono calabresi”. Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha deliberato l’approvazione del Comune di Milano ma respinto le altre. Approvate senza indugi, invece, le richieste di costituzione a parte civile di Marisa e Santina, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo, e di Denise Cosco, sostenuta dall’avvocato Vincenza Rando, contro suo padre Carlo. Nessuna delle tre era presente in aula; Denise per motivi di sicurezza, vivendo in località protetta e non volendo comparire davanti alle persone che “mentre mi stavano accompagnando in Calabria, chiacchieravano ridendo mentre io piangevo”, come riporta nelle dichiarazioni.

Risolto il primo punto, la difesa ha posto altre due obiezioni: il criterio distributivo della competenza territoriale e della competenza funzionale. Secondo uno degli avvocati difensori, “la presunta soppressione del corpo della signora sarebbe avvenuto a San Fruttuoso, zona di competenza della provincia di Monza”. Motivo per cui, a parere di una compatta difesa, dovrebbero essere il quartiere di San Fruttuoso (MB) a costituirsi parte civile e la Provincia di Monza ad acquisire la competenza giurisdizionale al posto di Milano. Continua, rivolgendosi ai giudici popolari, che “il giudice deve portare avanti un processo essendo in grado di ribaltare la propria posizione” e dichiara “la nullità del decreto di giudizio immediato in quanto il giudice è penalmente incompetente”. Parole e gesti di sostegno arrivano dagli altri avvocati. Il difensore di Giuseppe Cosco, l’avvocatessa Capucci, dalla chioma lunga e vaporosa, ha modi calorosi nei confronti proprio cliente con cui ha uno scambio di battute tanto intenso da ammettere, ridendo, di essersi guadagnato la sua simpatia.


Nel pomeriggio, in un’aula semivuota, la Corte appoggia le opinioni del Pm e delle parti civili, dichiarando respinta ogni altra obiezione della difesa e lascia la parola alle parti per l’esposizione delle proprie richieste. Il Pm Marcello Tatangelo snoda la vicenda vissuta da Lea Garofalo, sostenendola con la propria lista composta da 39 testi e con la documentazione contenuta in quattro pesanti faldoni appoggiati sul tavolo. Riporta dichiarazioni determinanti e richiede altri documenti, come il registro contenente le date dei prestiti del furgone tenuto dal proprietario cinese. Richiede anche “l’ascolto delle testimoni Denise Cosco, per permetterle di avanzare la sua costituzione a parte civile, ed Enza Rando”, dopo l’assopita polemica nei confronti del conflitto di ruoli di quest’ultima; Enza è minacciata dall’accettazione del caso diventando così avvocato difensore e testimone.

Quando l’udienza sta volgendo al termine, gli imputati parlano quanto più possono prima del saluto. Uno si avvicina al limitare della gabbia e congiungendo le mani le avvicina al viso sussurrando “sonno” a una presunta figlia, poi si sfila l’anello, lo mostra a una presunta moglie e si massaggia il dito. Qualcuno sorride e saluta semplicemente. Massimo Sabatino passa tra la folla e mostra fiero il tatuaggio che porta al collo, sul lato sinistro; Carlo Cosco chiacchiera con i compagni di cella, mantiene la sua integrità, guardandosi intorno sicuro con le spalle dritte. E sfilano fuori, ancora apparentemente sereni e intoccabili, seppur forse stupiti o preoccupati della vicinanza della prossima udienza stabilita per l’8 luglio ore 9.30, presso la Corte d’Assise di Milano.






07/07/2011
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