La mafia storica di Camilleri: “Il Birraio di Preston”.

 

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 In quest’opera Camilleri getta il suo sguardo ironico e tagliente sulla compromissione Stato-mafia, offrendo uno spaccato del potere nella Sicilia del dopo Unita d’ItaliaLa vicenda ruota intorno all’inaugurazione del teatro di Vigàta. Per l’occasione il prefetto Bortuzzi, proveniente da Firenze, caldeggia la rappresentazione dell’opera “Il Birraio di Preston”; la ragione ovviamente non è legata alla sua naturale e fiorentina predisposizione per l’arte, ma alla parentela che lo lega all’impresario che cura lo spettacolo.

 

La compromissione Stato-mafia sotto lo sguardo irridente di Andrea Camilleri

 

È questo lo spunto da cui prendono il via le vicissitudini dei personaggi del libro, sui quali si stagliano per emblematicità le figure dello stesso Bortuzzi e del mafioso don Memè. Il più delle volte i due appaiono insieme sulla scena e mettono così in luce una stretta contiguità tra le forze dell’ordine dello Stato e quelle “locali”. Un quadro che critica in modo caustico e sprezzante il partito di coloro che individuano le cause dei problemi del sud in una presunta regressione culturale e fors’anche antropologica delle popolazioni, illudendosi che la ricetta per risolverli siano estemporanei interventi dirigistici da parte dello Stato centrale. 

La compromissione tra don Memè e il prefetto, però, in Camilleri, non può che acquisire i contorni della burla, della farsa. Assolutamente spassose sono infatti le situazioni che si aprono tra i due, i quali nel tentativo di orchestrare macchinazioni e sotterfugi utilizzano il rispettivo bagaglio linguistico – confidenziale. Alla parlata caricaturalmente aspirata del prefetto, vediamo quindi contrapporsi la lingua allegoricizzante propria del mondo mafioso, che fa leva sulla cultura omertosa e ispirata alla discrezione tipica di certa Sicilia. Un codice che ricorre al “sottolinguaggio”e al linguaggio non verbale, fatto di gesti, di espressioni del volto, di sguardi che parlano più delle stesse parole, ma che se rivolti a un fiorentino danno invece luogo a straordinarie confusioni di senso, degne della miglior commedia degli equivoci. Sono questi i brani che tradiscono la pluridecennale militanza di Camilleri nel teatro, e che rivelano tutto il suo talento nell’orchestrazione ritmica dei dialoghi e nel gioco linguistico. Dietro lo scherzo però si trova l’analisi sottile del rapporto tra i siciliani e i nuovi rappresentanti sabaudi: una Sicilia che irride alla stupidità schematica della classe dirigente del nord, la quale, tronfia del proprio potere formale, provoca disastri, pretendendo di imporre una presunta superiorità culturale che li conduce solo a impantanarsi nelle consuetudini, nella scaltrezza e nell’immobilismo gerarchico tipico delle sfere del potere isolano.

 

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Le compagnie d’armi e la comparsa del “terzo livello”

 

Un altro elemento che concorre a inasprire il clima di tensione sono le compagnie d’armi, ossia quei gruppi armati che hanno origine nel periodo borbonico, e che nonostante lo scioglimento del feudalesimo decretato nel 1812, mantengono la loro presenza in difesa dei territori dell’aristocrazia. Il fenomeno rientra nella narrazione quando il prefetto Bortuzzi deciderà di utilizzare i militi a cavallo come servizio d’ordine, in occasione della prima de Il Birraio di Preston”. L’esito di tale scelta sarà la violenta quanto esilarante “pugna” che scoppierà in teatro durante la rappresentazione dello spettacolo e che vedrà fronteggiarsi i militi con l’intera comunità di Vigàta. L’incidente, così come la successiva “abbruciatura” del teatro, è la causa dell’eliminazione di don MemèL’evento ridimensiona notevolmente l’importanza del mafioso, la cui statura criminale quasi scompare di fianco a quella dell’onorevole Fiannaca, personaggio che appare d’improvviso sulla scena, in apparenza secondario, ma di grande modernità. Egli rappresenta il vertice del potere mafioso in Sicilia, ma è anche parlamentare a Roma. Diventa perciò espressione del cosiddetto “terzo livello”: quello di una mafia dirigistica che ha avuto accesso definitivamente, già nell’anno di ambientazione dei fatti, il 1887, alla direzione diretta del potere, non solo dell’isola, ma dell’Italia intera.

18/04/2014
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