La città ideale

 

Michele Grassadonia vive a Siena (L. Lo Cascio) ed è un ambientalista convinto, un ecologista rigido e severo, non usa l’auto, va in bici, risparmia l’acqua piovana per usarla in casa, promuove iniziative di riduzione dei consumi. E’ la spina nel fianco dei colleghi, cui rimprovera sprechi di energia o violazioni delle regole, come fumare dove è vietato. Una sera, sotto un diluvio torrenziale, guidando un’auto elettrica che gli ha prestato un amico, urta qualcosa che gli danneggia la carrozzeria e poi soccorre un uomo, accasciato a ciglio strada. Comincia così un vortice giudiziario allucinante, in cui Michele, suo malgrado, da grande “accusatore” dei vizi altrui, diventa accusato. E quando l’uomo che ha soccorso muore, diventa l’imputato per omicidio. L’inquisitore è diventato inquisito, i colleghi lo sbeffeggiano, gli inquirenti non gli credono, la madre anziana giunge da Palermo, imbarazzata dalla vergogna che Michele le procura e desiderosa di dargli una mano.

Bello spunto iniziale, che ricorda precedenti della letteratura e nel cinema: come ne “Il processo” di Kafka, Michele vive un viaggio assurdo e grottesco nel meccanismo giudiziario; i ruoli si ribaltano, e anche qui vengono in mente Durrenmatt e il Sordi di “Detenuto in attesa di giudizio”. Ma i paragoni illustri non reggono. Purtroppo il film si avvita, dopo la metà, arrancando verso la fine, infilando una galleria di personaggi fuori fuoco (l’avvocato siciliano, l’uomo dei cavalli, la misteriosa ragazza), sprecando un cast notevole (Burruano, Herlitzka), verso una conclusione prevedibile e un po’ banale.

Peccato per questo esordio alla regia di Lo Cascio, che non convince proprio. Da lui ci saremmo aspettati di meglio, ma sì sa che con le migliori intenzioni è lastricata la strada…

22/04/2013
Articolo di