Il processo AMIAT vola a sentenza


 

 

di Mattia Anzaldi

 

Sembra essere una battaglia personale quella che antepone il testimone di giustizia Raphael Rossi, ex vice-presidente di AMIAT, alla gestione malata di una pubblica amministrazione aziendale affetta dal morbo della corruzione. Una battaglia personale che si rilegge nelle parole dell’avvocato Gianpaolo Zancan, avvocato difensore di Giorgio Malaspina: “il mio obiettivo è delegittimare la credibilità di Rossi”. Eppure altra battaglia ci si aspetterebbe nell’evidenza palese di un tentativo di corruzione da quattro milioni e mezzo di euro, che il prossimo 18 giugno potrebbero veder ufficializzare una condanna di primo grado per il vertice amministrativo di VM Press. Nella penultima udienza del primo grado di giudizio il pubblico ministero Pellicano ha tenuto la sua requisitoria, ripercorrendo le tappe del suo impianto accusatorio e confermando il ruolo di interesse di VM Press nell’acquisto del presso-istrusore. A qualsiasi costo.

 

Il macchinario dal costo oscillante di oltre quattro milioni, presentato al di fuori di una regolare gara d’appalto, privo della corretta sperimentazione e di urgenza d’acquisto impellente, rappresentava “il cavallo di Troia” attraverso il quale conquistare marketing aziendale e poter accedere ad altre piazze di mercato. AMIAT si sarebbe così configurata come un veicolo pubblicitario d’eccellenza, svolgendo un ruolo di garanzia all’efficienza del mezzo. Tutto a spese dei contribuenti. Per concludere il processo, oltre “tutto l’arco costituzionale” fruttuosamente convinto a vari mezzi, bisognava superare la frizione rappresentata da Raphael Rossi. Un pubblico ufficiale scomodo, “dall’utilità marginale elevata”, che mette tutto per iscritto. Ventitré punti di contrarietà messi nero su bianco e resi pubblici.

La persona per mezzo del quale attenuare i dubbi di Rossi è Giorgio Giordano, suo ex presidente all’interno della municipalizzata torinese. A chi cerca di dimostrare l’inaffidabilità come testimone di Rossi, definendolo “agente provocatore”, il pm Pellicano e l’avvocato Lamacchia rispondono inquadrando la figura del testimone: “turbato dalla proposta illecita, moralmente convinto del proprio rifiuto, teme di non poter dimostrare il fatto e così si presta alle indagini per ottenere solidità nell’impianto probatorio”. Rossi si presta, sta al gioco registrando tutti gli estremi della proposta: dall’ipotesi di un nuovo decalogo tecnico di supporto all’acquisto rivisto dallo stesso Carlo Gonella (direttore VM Press), all’esposizione di Giovanni Succio (contabile VM Press) delle diverse procedure di riscossione delle tangenti, delle provvigioni estere accumulate su contratti oltre confine. Per il contabile Succio, il pubblico ministero ha chiesto alla corte due anni di reclusione; invece contro Malaspina e Gonella pende la richiesta di un anno e sei mesi di reclusione. Se le richieste del pm fossero accolte, VM Press dovrebbe inoltre pagare una multa di 60 mila euro. Il “filone A” del processo AMIAT, così composto, viaggia stabilmente diretto verso la sentenza, anche se alcune domande restano in sospeso. Chi, infatti, potesse esserci dietro a VM Press o allo stesso Giordano non appare chiaro. Come impalpabile rimane ancora la rosa di nomi altolocati, componenti solidi di quell’ “arco costituzionale” così pacificamente asservito alla procedura corruttiva. E’ però il secondo filone, quello relativo alla presunta turbativa d’asta nell’acquisizione del servizio di vigilanza armata, che fa tremare le posizioni apicali. Infatti, dopo le scorse testimonianze tremolanti di Maurizio Magnabosco, l’attuale Amministratore Delegato di AMIAT, e di Diego Cometto, il direttore generale, il quadro delle responsabilità appare vacillante. Ciò che pare più chiaro è che anche in questa ramificazione del processo l’ex presidente di AMIAT Giorgio Giordano svolga un ruolo di mediazione illegittima tra poteri.

 

E’ bene ricordare inoltre che Giordano è l’unico a non esser comparso in aula: per lui il procedimento si è chiuso con una condanna ad un anno per aver scelto la strada del patteggiamento.

Sorprendendo l’aula il pm Pellicano chiede alla corte di ritrattare il capo d’imputazione contro l’avvocato Giancarlo Gallo, responsabile dell’ufficio di gara e fino alla scorsa udienza ritenuto uno degli attori principali della turbativa. Oggi ne promuove l’assoluzione, delineandone certamente delle condotte discutibilmente professionali nella gestione delle relazioni con gli imputati, ma allontanandolo dall’ipotesi di reato. Restano imputati invece Leonardo La Torre e Salvatore Luberto, esponenti di All System, il primo dei quali consigliere regionale della Valle d’Aosta oltre che membro della commissione valdostana Antimafia, che si sarebbero fatti attori di una pressione ingiustificata ai danni dell’ufficio di gara, ed in particolar modo di Giancarlo Gallo e di Giuseppe Eliseo, il responsabile della sicurezza. Strumentalizzando la figura di Giordano, il quale una volta terminato il mandato presidenziale in AMIAT si sarebbe trovato “in una fase di crisi di identità professionale”, quindi promettendogli un ruolo ad hoc dentro l’impresa di security, avrebbero cercato di estorcere informazioni sensibili sull’andamento della gara, spingendo inoltre per un’uscita di Telecontrol, consorzio aziendale tra cui figura la Rear del consigliere regionale del Piemonte per il Partito Democratico Mauro Laus. Una battaglia senza esclusione di colpi, fatta di pressioni e ricorsi tra due imprese forse più interessate all’ingresso politico nella grossa azienda di raccolta rifiuti, piuttosto che al servizio di vigilanza. Per La Torre e Luberto il pubblico ministero ha chiesto un anno e due mesi di reclusione. Ora la parola passa alle ultime arringhe difensive, che anticiperanno nella giornata di lunedì 18 giugno la lettura della sentenza da parte del presidente della corte, il giudice Domaneschi.

15/06/2012
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