Battagliare per democratizzare l’educazione

Paulo Freire ha insegnato fondamentalmente che la democratizzazione dell’educazione, con buona pace di John Dewey, non matura da sola, neanche (e non vogliamo dire soprattutto) in un ambiente politicamente già democratico. Non sono amante del paradosso, ma è facile comprendere che in un ambiente che ufficialmente è democratico, come l’Italia, le dimensioni dell’esclusione e della distinzione in ambito educativo semplicemente vanno sotto superficie, da dove talvolta agiscono meglio che se fossero a viso aperto.

È finito il secolo XX, in cui era facile scorgere il bambino siciliano in fondo ad un’aula di una scuola in Germania, con lo psicologo che, chiamato a verificare se avesse o meno un ritardo mentale, con in mano i test di Alfred Binet e David Wechsler, finiva per candidarlo alla Sonderschule. I dibattiti sull’incidenza dell’ambiente e dell’eredità sull’intelligenza, come quelli celebri fra Hans Eysenck e Leon Kamin, o fra Jean Piaget e Lev Vygotskij, ovvero fra la “psicologia evolutiva” e la “psicologia culturale”, o ancora quelli sulla capacità della “pedagogia compensativa” di colmare il gap fra i Gianni e i Pierini in classe, sono anch’essi acqua passata.

Fra il secolo scorso e l’attuale sono arrivate poi le novità: la rivoluzione cognitiva, l’Intelligenza Artificiale, la Teoria delle Intelligenze Multiple e le neuro-scienze. Ci hanno aiutato a democratizzare l’educazione? La risposta, come al solito, deve essere e no. , perché abbiamo capito sempre meglio e più in profondità come funziona la mente umana; no, perché la dimensione politica dell’educazione riesce a restare nascosta, forse anche a nascondersi meglio, nei nuovi frangenti. Ed è proprio questa la dimensione a cui Freire ci ha richiamati, e che rischia di restare ancora più sepolta di prima nei nuovi ed attrezzati ambulatori di Neuropsicologia e Neuropsichiatria per le “difficoltà di apprendimento”.

Ma, mi dispiace per chi crede nella neutralità politica dell’agire educativo, il messaggio di Freire ci viene involontariamente ricordato dai migranti, che oggi circolano in tutto il mondo, perfino nelle nostre aule e nei nostri ambulatori qui in Sicilia. Il loro arrivo può essere salutato come un’ennesima complicazione dei nostri ambienti di lavoro, già in sofferenza per problemi che ci portiamo dietro irrisolti da prima delle questioni del crocifisso o del velo in aula, oppure, come un cimento nuovo a cui è facile e rapido dire che non si è preparati (chi sa parlare, infatti, arabo, indi o cinese così, su due piedi?). Ma, a pensarci bene, quel che sta accadendo è esattamente il contrario: è la democraticità della nostra mente, e del nostro approccio educativo all’altro, ciò che qui è in discussione.

Il non sapere parlare arabo, indi o cinese non è una questione di capacità linguistica o di preparazione culturale; anche il non saper nulla o poco dei sistemi e dei metodi educativi dei paesi dove si parlano queste lingue non c’entra. Il punto è l’altro dentro casa mia. Ed è questa la dimensione politica dell’educazione, che Freire ci ha insegnato. Per capirlo basta usare il concetto di one up/one down, tipico dei rapporti di potere, anche interpersonali: io sono one up, l’altro è one down. Chi parla e chi tace, chi ha facoltà di fare una domanda o di contestare una risposta, chi può alzarsi dalla propria sedia, chi può proporre un’altra maniera di arrivare alla soluzione, insomma, tutto quello che normalmente succede e si comunica dentro un’aula o un ambulatorio, tutto o quasi tutto è determinato da questa posizione di base.

L’essere straniero è una caratteristica dominante nel setting interculturale, ineliminabile e preliminare. Ovviamente, capovolgere chi sta sopra e chi sotto non cambia, semmai falsifica, la situazione: a che serve organizzare una festa religiosa a scuola di cui non si sa nulla, se non a compiacere, a commiserare, o a folklorizzare una religione? Il problema è, piuttosto, trovare il giusto equilibrio per agevolare la comunicazione – il che è un’azione politica. Non dobbiamo fare diventare italiani i bambini stranieri, né farli passare per “soggetti con specifiche difficoltà di apprendimento” per accettarli in casa nostra. In realtà, l’approccio interculturale in educazione serve a democratizzare sia la nostra mente, sia quella degli stranieri che sono da noi.

È possibile fare questo? La mia risposta è , ma è preliminare comprendere che per farlo bisogna accettare che dobbiamo fare educazione battagliando. – Appunto, Freire docet! Alcuni esiti dell’azione educativa che io e diversi colleghi qui a Catania stiamo cercando di fare sono già stati pubblicati. Il concetto che ci guida è quello che stiamo chiamando la multi-versità dello studiare, ovvero una pratica di democrazia cognitiva basata sulla creazione di setting appositamente rivoluzionati, per non sanzionare, anzi per permettere, o meglio per incoraggiare l’approccio plurale della mente umana agli oggetti proposti dal docente. Esistono, ma sono sempre da scoprire e da ri-scoprire, tante dimensioni culturali all’interno dell’insegnamento/apprendimento che, senza questo rivoluzionamento educativo, resterebbero celati e sepolti, a grande detrimento dello sviluppo dell’intelligenza dei bambini e dei ragazzi, ma anche degli educatori, e quindi della democrazia nella cognizione.

Riferimenti

Cristaldi M. 2015. Special Educational Needs and Foreign Children in Italy: Interpretations and Ambiguities. In Brook Napier D. ed. International Perspectives on Race (and Racism). Historical and Contemporary Considerations in Education and Society. New York: Nova Science, pp. 197-213.

Cristaldi M. 2017. Competenze globali, global teacher e global student. Riflessioni sulla Campagna educativa “Etna vulcano della pace. Preghiera interculturale delle scuole di Catania contro la guerra”. Educazione interculturale, vol. 15, n. 1.

Cristaldi M., Pampanini G. 2016. Research and Activism about Girls’ Education for Global Democracy: the case of the campaign ‘Etna, Volcano of Peace’, Catania, Italy. Policy Futures in Education. No. 14 (5), pp. 578-589.

Cristaldi M., Fenaroli P., Ochoa M. B. 2019. Armonie della dissonanza: attualità delle idee di Lapierre e Aucouturier. Musica domani. Semestrale di cultura e pedagogia musicale, anno XVIX, n. 181, dicembre 2019, pp. 59-64.

Cristaldi R. A., Pampanini G. 2008. The “Italian Model” of Intercultural Education: critical notes. Forum 21. European Journal on Child and Youth Research, No. 2, 12, pp. 50-57.

Pampanini G. 2011. Intercultural Intelligence. Catania: CUECM.

Pampanini G. 2013. Democratizzare l’educazione. Come l’intercultura e le neuroscienze stanno democratizzando il nostro modo di fare educazione. Catania: CUECM.

Pampanini G. in pubblicazione. La Multi-versità degli studi. Per una scuola nuova. Catania: Lunaria.

Giovanni Pampanini

04/02/2022
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