Afghanistan anno zero

overv_1km


Così si intitolava un libro attorciglia-budella di Giulietto Chiesa e Vauro, di qualche anno fa, che tracciava un ritratto disarmante dell’Afghanistan. L’impressione, in questi giorni, è la stessa.

È notizia di oggi il ferimento di altri due soldati italiani, in uno scontro a fuoco; medesima sorte è toccata a un paracadutista della Folgore, qualche giorno fa. Peggio il bilancio della scorsa settimana: 6 morti in un attentato. Il dolore dei familiari si è mescolato ai riti funebri solenni, oltre che ai discorsi di circostanza dei soliti politici. Ma poco importa, in questo momento. Sottolineiamo alcune cose.


Basta chiamarla missione di pace! Non ci crede più nessuno, la pace non la si costruisce con le armi. È una guerra bella e buona; e i soldati in guerra muoiono. Punto. I soldati sono morti e noi li celebriamo degnamente.
Ma ogni anno, nel mondo, muoiono anche missionari, medici e cooperanti internazionali, in zone di guerra sparse per il pianeta, e queste notizie non hanno il medesimo clamore mediatico. Non sono forse italiani anche quelli? Non si adoperano per la pace veramente?
Senza contare, poi, le vittime tra i civili. Quelle non se le ricorda mai nessuno.


In secondo luogo: che ci facciamo noi là? Noi militari, si intende. Difendiamo gli interessi degli occidentali, del nostro ricco mondo, della ricchezza che vogliamo continuare ad avere: sembra la spiegazione più plausibile, seppure cinica e iper-realista, da dare. Ma dopo quasi otto anni di azione militare in Afghanistan, quali sarebbero i risultati? È difficile vederli: Bin-Laden è ancora a piede libero (almeno fino a prova contraria), i talebani mozzano dita e naso a chi vuole votare alle elezioni, il terrorismo internazionale non sembra particolarmente indebolito, il nuovo governo neoeletto di Karzai è contestato da tutti gli osservatori internazionali, per l’accusa di brogli e i soldati cadono come mosche. Quindi – cui prodest? – avrebbe detto qualcuno. Almeno, in modo certamente vergognoso, è chiaro per l’Iraq: siamo là (noi occidentali) per il petrolio. Ma in Afghanistan? Dopo tutti questi anni e con questi pochi risultati, si stenta a coglierne il motivo.


In ogni modo, ormai nel fango fino alla cintola, bisognerà decidere cosa fare. Qualcuno sbraita per il ritiro delle truppe, altri parlano di exit strategy o di surreali scenari plausibili. La soluzione in tasca, neanche a dirlo, non l’abbiamo nemmeno noi. Certo che, come qualche voce fuori dal coro ogni tanto dice, investire un po’ di più in cooperazione e ricostruzione, piuttosto che sperperare miliardi di dollari in armi e distruzione, forse male non farebbe.

In attesa che qualcuno prenda in mano la situazione, come sempre, aspettiamo. A patto di essere in pace con la nostra coscienza.

24/09/2009
Articolo di