11/S: La vita oltre lo schermo. Memoria, critica, azione

 

 

di Davide Ziveri

 

Non c’è immagine nella storia più conosciuta dell’attacco alle Torri Gemelle del WTC di New York. A dieci anni esatti da quella tragica lunghissima giornata, o, sarebbe meglio dire, nottata in cui precipitammo, sono i video su Youtube a celebrare la memoria delle vittime e degli eroi civili di quei drammatici apocalittici momenti.

Ma le immagini che non riesco a trovare sotto il tag 11/S sono quelle dei bambini afgani o della popolazione irachena, vittime anch’esse (tra 74 e 200 mila quelle civili nel solo Iraq) del fanatismo della violenza che, in attacco o in difesa, ha imposto la legge della forza come via per la sicurezza, cancellando i diritti come via per la giustizia. E la pace non è frutto della prima, quanto l’esito della seconda. Ecco spiegato perché non mi rassicura assistere allo show delle rinnovate misure di controllo negli aeroporti; piuttosto mi ronza in testa il silenzio di una strategia seria e multilaterale di verità e giustizia. Ascolto in tv solo proclami e nessun dialogo. Alcuni, vociferati nel linguaggio a me noto della manipolazione politica occidentale, quindi acriticamente comprensibili, altri gridati in lingue straniere, probabilmente dello stesso tenore e credibilità, ma nessuna stretta di mano, nessun abbraccio. A dieci anni di distanza manca insomma un tentativo di narrazione che integri traumi contrapposti, elabori un dolore umano egualmente diffuso tra le vittime di ogni fronte, costruisca relazioni di confronto, generi futuro, il nostro futuro.

Di nuovo on air il balletto delle immagini di repertorio. Ne scrivo poiché non voglio postare quelle stesse immagini conosciute sino al parossismo ossessivo. Abbiamo invece il coraggio di dirci che, nonostante i tentativi e le promesse del secondo dopoguerra, il nuovo millennio sta assistendo a una terza guerra mondiale (per una mappa dei conflitti si veda il sito warnews o guerrenelmondo.it). Siamo in guerra e ce ne accorgiamo solo quando la morte colpisce il ventre delle città, i simboli del nostro sistema capitalista, o nelle storie disgraziate e strappalacrime di qualche episodio finito male giù al fronte. Non è forse lo stesso che succedeva agli albori della Prima Guerra Mondiale ai borghesi di Londra che ancora prendevano il tè discutendo di un conflitto di cui si udivano i rimbombi oltre la Manica?

In ogni caso non è di geopolitica che vogliamo parlare, per questa basti leggere gli articoli di Chomsky, dimenticando quella dottrina dello scontro di civiltà che per fortuna è ormai uscita di scena anche nei thinktank conservatori. Cogliamo piuttosto questa amara domenica per allenarci nel difficile esercizio della critica. Non quella di facile polemica riguardo cause e dinamiche degli attentati, ma quella attenta ai meccanismi virali di diffusione delle immagini, delle narrazioni, di miti e idee su cui crescerà la giustificazione della prossima guerra. Che lezione ne abbiamo tratto? Cosa continuiamo a raccontarci su quei fatti?

L’asimmetria del potere mediatico è tale che persino nelle città di provincia italiane si mettono corone di fiori in ricordo dei fatti di New York, mentre nessun rappresentante del governo commemorava il 2 agosto nelle piazze di Bologna. Non vogliamo ricordare solo quando la pubblicità ci insegna che è il momento di farlo. Se ci sforziamo nell’esercizio della memoria, della memoria antifascista, quella che piange l’11/S come casus belli contro lo Stato di diritto che faticosamente cercavamo di costruire, allora un pensiero vada anche al Cile del 1973, alle immagini del bombardamento al palazzo presidenziale della Moneda. Una spietata vittoria di un fascismo, supportato dalla politica estera USA su quello che considerava il proprio cortile di casa, che mise fine alla speranza democratica dei mille giorni di Allende, sogno di un paese poverissimo, ma unito e protagonista della propria storia.

Lo scontro tra povertà e ricchezza è certamente uno dei problemi più assillanti del mondo, ma è una diagnosi errata per interpretare l’attacco dell’11 Settembre. Questa è una battaglia tra i fanatici convinti che il fine, qualunque sia, giustifichi i mezzi, e noi altri, convinti invece che la vita sia un fine, non un mezzo.” (Amos Oz)

11/09/2011
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