We are bridges – Meridiano d’Europa 2025

“… la più grande buona azione è costruire un ponte”.

Ivo Andric, il ponte sulla Drina

 

“Vi prego gridate che qui la gente muore

di granate di snajper di malattie

ma anche

di paura di angoscia di disperazione

e perché non c’è pace

non c’è pane

e l’inverno arriva

e nessuno crede

che non li abbiamo dimenticati.

Vi prego gridate”.

Moreno Locatelli

 

Il processo di integrazione europea nasce come progetto di pace perpetua. Le devastazioni e gli orrori dei due conflitti mondiali erano ancora negli occhi dei Paesi Fondatori, quando nel 1950 venne pronunciata la Dichiarazione Schuman. Da quel momento, l’obiettivo dichiarato della nascente Comunità Europea è sempre stato quello di rendere irreversibili la pace e la democrazia attraverso la maggiore integrazione tra gli Stati europei e tra l’Europa e il resto del mondo.

 

Questo percorso non è stato privo di ostacoli: l’ultima dittatura fascista d’Europa, il regime franchista in Spagna, cade solo nel 1975 e, fino al 1989, il continente europeo è diviso in due dal Muro di Berlino. Nonostante tutto, il processo di integrazione europea è progredito, accogliendo sempre più Paesi e ampliando i propri orizzonti. Nel 2012 l’Unione Europea riceve il Premio Nobel per la Pace “per aver contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace”.

Ma cosa stava accadendo al di fuori dei suoi confini?

Nel novembre 2013 iniziano le proteste in Ucraina denominate “EuroMaidan”, culminate con l’annessione russa della Crimea. Innumerevoli anche le guerre in cui vari Paesi Europei erano direttamente coinvolti (Afghanistan, Iraq, … ). Pochi anni prima, dal 1991 al 2001, i Balcani sono stati coinvolti nel conflitto europeo più sanguinoso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

 

Da giovani cittadini europei ci interroghiamo profondamente su cosa significhi oggi per l’Unione Europea essere uno spazio di pace al proprio interno e portatrice di pace al di fuori dei propri confini. Lo facciamo avendo negli occhi il perdurare del conflitto in Ucraina e l’ennesima escalation del conflitto israelo-palestinese che sempre di più sembra coinvolgere tutto il Medio Oriente, nell’impotenza e nell’immobilità dell’Unione Europea e della comunità internazionale.

 

Per l’undicesima edizione del Meridiano d’Europa scegliamo quindi di riflettere e approfondire il tema del conflitto, della guerra e di come l’Unione Europea possa e debba essere attrice di pace non solo al suo interno ma soprattutto al di fuori dei suoi confini, mettendoci noi stessi in viaggio per superarli.

Scegliamo di interrogarci sui conflitti di ieri e di oggi a partire da due luoghi, Sarajevo e Srebrenica, a trent’anni dal genocidio nel cuore dei Balcani e dell’Europa. Incontreremo le comunità che hanno ricucito il territorio sulle ceneri del conflitto e la testimonianza di chi oggi prova a costruire solidarietà, speranza e pace nelle zone di guerra ai confini dell’Europa.

 

LA META DEL VIAGGIO

Nel 1992, allo scoppio della guerra in Bosnia, Srebrenica conta 36.666 abitanti, di cui il 75,19% di fede musulmana, rendendola di fatto un’enclave all’interno di uno Stato a maggioranza serba.
Dopo una serie di scontri le Nazioni Unite dichiarano la città “area protetta”, e per questo motivo nei successivi 2 anni la popolazione arriverà a sfiorare le 60.000 persone.

 

L’8 luglio 1995 il generale Mladic, dell’Armata della Repubblica Serba, sferra un attacco decisivo alla città, che cade l’11 luglio. Quando i Serbi entrano in città non trovano nemmeno il battaglione ONU che in quel momento avrebbero dovuto difendere i civili. Dal 12 al 19 luglio l’esercito di Mladić si rende responsabile del più grande eccidio dai tempi della Seconda Guerra Mondiale: più di 8000 musul- mani vengono sistematicamente uccisi e ammassati in fosse comuni, dalle quali ancora oggi gli anatomopatologi estraggono le ossa per tentare di dare un nome alle vittime anonime del massacro.

 

Intanto dall’aprile 1992 al febbraio 1996 Sarajevo vive un drammatico assedio, il più lungo del Novecento europeo. Le forze serbo-bosniache, nel tentativo di impedire l’indipendenza della neonata Bosnia-Erzegovina, cingono d’assedio la capitale Sarajevo, che per 4 anni diventerà uno dei teatri di guerra più sanguinosi della nostra storia recente, vittima di costanti bombardamenti e sotto il fuoco dei cecchini che non lasciano scampo ai civili.

L’assedio fu interrotto solamente per una giornata, tra l’11 e il 12 dicembre 1992, da un gruppo di 500 pacifisti, partiti dall’Italia insieme a Don Tonino Bello, mentre nel corso di una analoga manifestazione svoltasi il 3 ottobre 1993, mentre cercava di deporre un fiore sul ponte Vrbanja, morì centrato da un cecchino il pacifista italiano Moreno Locatelli.

L’assedio cessò solo in seguito all’Accordo di Dayton, lasciando dietro di sé più di 12.000 morti.

27/01/2025
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