Una GoPro puntata. Su di noi

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E’ stato un attimo, frazioni di secondo, ma ho visto una di quelle cose che mi si appiccica addosso e non mi lascia in pace.

Un’immagine trasmessa da un tg che parlava di ISIS, o IS; si vedeva la canna di un Kalashnikov che puntava un edificio e sparava. Immagine ben definita, relativamente stabile. Mi sono chiesto se fosse il gameplay di uno sparatutto estrapolato ad hoc per rendere l’idea, ma non era così: un miliziano ISIS ha semplicemente montato una GoPro sulla sua arma.

La narrazione di guerra è sempre stata una delle più costruite e strutturate: si tratta quasi sempre di prodotti di propaganda che vengono progettati, finanziati ed infine affidati a un regista.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=TsncQ6O4wYw]

La GoPro sul Kalashnikov che ho visto è un’evoluzione, un nuovo stadio che va a toccare molti aspetti: intanto è una comunicazione immediata, quindi per definizione non mediata da una particolare regia, è fruibile nell’immediato perché può andare in rete anche con un live stream [mentre scrivo mi rendo conto dell’assurdità insita anche solo nel pensare di fare un live stream di una guerra, però così è].

E’ anche un modello comunicativo molto occidentale: non vediamo più un [noioso/antiquato/trito] martire incappucciato che prima di immolarsi per la causa urla maledizioni davanti a una telecamera amatoriale montata su un cavalletto; in più la vista ‘in soggettiva’ tipica degli sparatutto ammicca alle comunità dei gamers di tutto il mondo: è un modo efficace di portare nelle case e sugli schermi di computer e smartphones il terrore user friendly, riconoscibile ed assimilabile in pochi istanti.

La GoPro sul mitra si cala nel nostro immaginario come qualcosa di attuale, occidentale, fruibile per i social network e pronto a scuotere [unicamente forse] la coscienza di chi guardando attraverso la soggettiva non riconoscerà la propria casa e se stesso mentre scruta il monitor.

18/12/2014
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