Uganda: la terra è una questione seria

La terra è una questione seria.
Non si scherza, non si fanno compromessi.

 

Immaginate se per ottant’anni un’immensa distesa di terra, di banani, di eucalipti, di manghi, rimanesse intoccata, così come madre natura ha voluto che fosse. Immaginate se per ottant’anni il testamento di un vecchio uomo africano, padre di sei figli, rimanesse indiscutibile, valido come è vero che il fuoco brucia.
E immaginate che sul testamento ci sia scritto che quella terra, assegnata a quella persona in particolare, non è divisibile, non si può negoziare.
Bene, ora immaginate che dopo ottant’anni tutto questo non ha più importanza, che qualcuno si alza il mattino e ansioso, spaventato dal futuro decide di reclamare un pezzetto di terra.
Non uno solo, ma cinque fratelli. Cinque contro uno.
Allora le riunioni familiari prendono avvio, possono parteciparvi solo i più vecchi, le donne rigorosamente sedute per terra e da un lato. Solo la donna più anziana può prendere parola.

Si parla, si discute, si arriva anche alle minacce, si punta il dito. Nascono gelosie, risentimenti, incomprensioni. Ma tutto questo fa parte dell’autopopoiesi, così la chiama Francesco Remotti: cerimonie e rituali per creare nuova umanità. O meglio per rinnovare e rigenerare l’essere umano. La terra va divisa, perché qui non esistono egoismi. Tutto è condiviso, tutto è divisibile.
Così il giorno dopo tutta la famiglia si addentra nella foresta. Si prendono misure, si contano i passi. Si piantano alberi nuovi di zecca per segnare i confini stabiliti. Alberi sempre verdi, che non si sciupano né con il sole né con la pioggia, alberi che tutti possono sempre vedere, anche da lontano. La terra è una questione molto seria.
La divisione è stata fatta, ora manca solo la riconciliazione.
Di nuovo seduti, un nuovo giorno. Un pollo e una capra vengono arrostiti per l’occasione. Si mangia, si scherza, si beve. Il clima è disteso, rilassato. E così che nella frugalità una famiglia ritrova pace; e così che nella condivisione del cibo ognuno ritrova il dialogo con il vicino.

Un Natale nuovo per me, per la tradizione africana, per le generazioni future.

10/01/2014
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