Messico: giornalisti a piedi – intervista a Cynthia Rodriguez


Inviati di guerra nel proprio paese. Come definire se non con queste parole la condizione dei giornalisti messicani. 65 inviati uccisi in 10 anni, 11 desaparecidos e 16 attacchi contro le sedi di giornali. Questi i numeri della guerra scatenata dai narcos nel paese che ha appena festeggiato il suo bicentenario. Uno stato dove esistono vere e proprie aree di silenzio dove il destino di chi prova a indagare è completamente nelle mani dei narcotrafficanti.
A Tapaolinas, a febbraio, sette giornalisti sono scomparsi nel nulla. Solamente il lavoro di un giornalista texano che si è infiltrato nella zona è riuscito a riportare l’attenzione su questo caso.
Una spirale di violenza che ha esasperato gli animi dei cittadini delle regioni più colpite.
Ma nel Messico dei narcos oggi si intravede qualche piccolo segnale di speranza. I famigliari delle vittime iniziano a parlarsi tra loro. Alcuni giornalisti hanno creato la rete “Periodistas a piè” per provare a unire il fronte della stampa che ha rinunciato alle illusorie promesse del potere e continua a non piegarsi di fronte alla violenza dei narcos

Cynthia Rodriguez è una giovane giornalista messicana del quotidiano “Proceso” che da quattro anni vive in Italia. Nel suo libro d’inchiesta “Contacto en Italia” ha descritto gli intrecci tra i cartelli della droga messicana e le cosche dell’ndrangheta. Ogni giorno legge con apprensione le notizie che arrivano dal suo paese.


Qual è la situazione in Messico e quali sono state le azioni portate avanti dal governo per contrastare il narcotraffico?


Quando il presidente Calderon quattro anni fa dichiarò la guerra al narcotraffico si riferiva solamente al fatto di sparare ai narcotrafficanti. La sua concezione di guerra concepiva solo l’aspetto militare. Tutto fu improvvisato e coinvolse solo l’uso della forza con il solo risultato dell’aumento della spirale di violenza. Gli Stati Federali che erano abbandonati, continuano ad esserlo. Non ci sono fondi per professori e ospedali. I servizi ci sono solamente nelle grandi città, il centralismo non ha portato frutti da un punto di vista sociale.


Come sta reagendo la popolazione all’aumento dell’intensità della violenza?


Qualcosa si sta muovendo. A Ciudad Juarez alcuni psicologi hanno creato dei gruppi per aiutare le famiglie delle vittime a gestire i lutti. Professionisti nati e cresciuti in questa città e che ora provano a salvarla e a cambiarla attraverso il proprio lavoro.
che lavorano e vivono nella loro città provando a generare un cambiamento. Il problema è che sono stati lasciati soli dalle istituzioni che non ha fornito nessuna risorsa. La gente sta iniziando a prendere coscienza, si rende conto di avere un potenziale molto forte che però è continuamente minacciato dalla violenza dei narcos. L’esempio di questa situazione è dato da un professore di una scuola elementare ucciso il 7 settembre. Era arrivato da poco nella scuola di un piccolo paese dove nessuno voleva fare il sindaco. Così aveva accettato la sfida, ma dopo poco tempo lo hanno sequestrato e ucciso a pietre in testa. Questi sono i lori messaggi, non si accontentano di spararti, ma fanno soffrire le vittime per lanciare messaggi agli altri.


Che ruolo ha avuto internet e le nuove tecnologie nella lotta al narcotaffico?


Oggi i cittadini stanno occupando quello spazio pubblico di informazione offerto dal web che una volta era sotto il monopolio della televisione. Fino a qualche anno fa, le uniche immagini che vedevamo erano quelle che la televisione ci dava. Ora il web ha trasformato il mondo dell’informazione in senso democratico.
Internet viene usato dalle persone come un passaparola virtuale per monitorare la situazione: gli abitanti delle diverse città si avvisano via web se qualcuno vede una sparatoria o se vede arrivare i commando dei narcos.


Che ruolo svolgono invece i media tradizionali?


La gente è delusa dai media perché per molto tempo non hanno fatto altro che difendere i propri interessi. Cercavano di stare con chi pensavano avrebbe vinto le elezioni. In molti hanno scommesso su Calderon. Questo è stato un boomerang. Non si puo’ essere giudice e parte in causa allo stesso tempo perchè altrimenti la gente non ti crede più. In Messico, c’è il sospetto generale su tutto ciò che dicono i media perchè pensano più a difendere gli interessi dei loro protettori politici e non quelli pubblici.


Negli ultimi quattro anni hai vissuto in Italia. Quali sono le differenze che hai notato tra il Messico e il nostro paese?


Trovo che la società italiana abbia saputo reagire più velocemente alla criminalità organizzata rispetto a quanto sta accadendo in Messico. Ammiro il lavoro che Libera ha fatto con i famigliari delle vittime. Qui c’è qualcosa che si muove più rapidamente rispetto al mio paese.

06/10/2010
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