Le conseguenze
C’è anche chi tra i libanesi risponde alle barbarie con la solidarietà, come i tanti cittadini che subito dopo l’incendio hanno messo a disposizione le loro case e le merci dei loro negozi per chi aveva perso tutto per la seconda volta. Ma i media locali riportano interviste a cittadini libanesi del posto, che invece lamentano il fatto di essere poveri come i siriani che stanno ricevendo aiuto, ma di non ricevere niente per loro.
L’episodio ha avuto una rilevanza enorme ed ha creato tensioni altrettanto profonde, Operazione Colomba denuncia il clima esplosivo di razzismo e di gravi intolleranze reciproche tra le due comunità, dovuti alle ingiustizie subite dai siriani e dalle condizioni di povertà e crisi economica in cui versano tutti, libanesi e siriani: le conseguenze potrebbero essere pericolose almeno quanto il drammatico fatto in sé.
Ad oggi non è ancora stata trovata una soluzione per gli ex abitanti del campo, che attendono una decisione da parte della regione di Akkar e del ministero del lavoro e delle politiche sociali, i quali sembrano non avere intenzione di permettere la ricostruzione del campo nella stessa zona. Inoltre, resta forte la paura di ulteriori violenze tra i siriani e la famiglia dei responsabili dell’incendio.
Tutto questo è di una gravità inaudita, è un’altra battaglia della guerra fra poveri che è ormai in atto da tempo in Libano. Questo incendio, infatti, è avvenuto a poco più di un mese dagli
episodi di razzismo che si sono verificati a Bsharre. A perdere sono sempre gli ultimi mentre a vincere è sempre il sistema di uno Stato che non può e non vuole proteggere né i suoi cittadini, né chi sul suo suolo cerca solo riparo ed un minimo di sicurezza. Stato che non muove un dito per spegnere il fuoco dell’odio, ma che ci soffia sopra per alimentarlo, ricorrendo alla retorica razzista contro i siriani, capro espiatorio di ogni male, come unica risposta al malcontento della marea di cittadini libanesi indigenti e recentemente ancora più impoveriti.
Noi volontari di Operazione Colomba, grati che la notizia abbia avuto tanta copertura mediatica, riteniamo fondamentale che alla situazione dei siriani e del Libano in generale venga prestata attenzione sempre, perché anche se gli episodi così eclatanti di violenza non succedono tutti i giorni, violazioni meno grandi ma comunque gravi, avvengono invece in maniera sistematica, e le autorità del paese continuano a spingere i profughi a tornare in patria, pur sapendo benissimo che ciò non è possibile in condizioni di dignità e sicurezza.
Alla tremenda guerra in Siria si aggiunge quella in Libano, combattuta senza artiglierie pesanti, ma sulla pelle degli ultimi utilizzando crisi economica, discriminazioni, violenze, ed anche gestendo malamente la pandemia mondiale, ennesima minaccia ad un paese già in ginocchio.
Il governo siriano, da parte sua, approfitta della situazione. Un delegato del governo ha fatto visita al campo raso al suolo, invitando i profughi a tornare. Non sappiamo il perché di questo gesto, ma sappiamo con certezza che per chi torna in Siria non c’è altro destino se non torture, arruolamenti forzati e ancora fame e povertà.
Come documentato nei
quattro report di Operazione Colomba, non esiste sicurezza per chi torna e l’atteggiamento del governo siriano, in un goffo tentativo di riabilitazione sul piano internazionale, e forse agli occhi degli stessi cittadini che ha fatto scappare, fa molto riflettere.
Non c’è scampo e non c’è pace per chi è intrappolato nel paese, che vede quella del mare come unica via d’uscita, ma che troppo spesso si trasforma in un cimitero di donne, uomini, bambini e sogni di una vita dignitosa.