Appunti della Scuola di Quartiere: il ruolo dei genitori

Nella seconda assemblea della Scuola di Quartiere sono stati protagonisti i genitori. Il ruolo dei genitori nella comunità educante è controverso, si trova al centro di incomprensioni e fraintendimenti, spesso da parte dei genitori stessi. E’ un ruolo decisamente diversificato a seconda del contesto. Quando si parla di bambini e bambine della scuola primaria è chiaro a tutti che i genitori hanno un indiscutibile ruolo centrale: i genitori partecipano alla riunioni e fanno parte dei consigli di classe in maniera più attiva e partecipata, sono direttamente responsabili dei propri figl3 ancora lontani da una qualsivoglia forma di autonomia. Il dibattito relativo ai genitori dei ragazzi e delle ragazze che frequentano la scuola secondaria di primo grado e di secondo grado si divide tra chi pensa che i genitori si debbano fare da parte e chi pensa invece che possano ancora avere un ruolo fondamentale per la comunità che educa. Lasciamo spazio a due riflessioni di genitori impegnati da anni nelle riflessioni sulla scuola : Carola Messina del movimento “Priorità alla Scuola” e il professore Riziero Zucchi che da anni lavora sulla “Pedagogia dei Genitori”.

Carola Messina (Priorità alla Scuola)

Per affrontare il tema dell’incontro credo sia necessario partire da due concetti essenziali: l’alleanza educativa e la diversità di ruoli di chi compone a vario titolo il mondo della scuola.

L’alleanza educativa è, a mio parere, il presupposto fondamentale per la crescita di una società, per lo sviluppo dei singoli individui ma anche dell’intera collettività, al fine di formare cittadine e cittadini consapevoli.

Alleanza educativa intesa come confronto e collaborazione fra soggetti diversi, genitori e famiglie, docenti ma anche comunità e territori, in un’idea di rete preferibilmente costruita proprio intorno agli spazi fisici, gli edifici scolastici, che possono diventare spazi pubblici. Con l’obiettivo di creare opportunità nuove pensate e progettate tutte e tutti insieme per la collettività.

L’alleanza educativa fra scuola e famiglia è quindi uno dei presupposti fondamentali per la riuscita del processo formativo se si vuole andare nella direzione della formazione di nuovi cittadini e non solo delimitata e circoscritta al mero apprendimento. Tutto questo però deve avvenire nel rispetto della diversità dei ruoli (tra genitori/famiglie e insegnanti) e nella comprensione delle dinamiche sociali che si sono molto modificate negli anni.

Le famiglie ora sono tante e diverse, monogenitoriali, omogenitoriali, famiglie allargate. La situazione che viviamo è quella di una generale crisi economica, di maggiore isolamento sociale, e anche di un modificarsi negli anni del modello educativo. A questo la scuola deve saper rispondere adeguatamente, mentre vediamo alle volte i docenti arroccarsi in dinamiche autodifensive e autoconservative che portano a incomprensioni e rigidità. La scuola invece deve avere capacità di ascolto e di comunicazione efficace e sicura del proprio ruolo anche di supporto alla genitorialità attraverso strumenti adeguati alla base di partenza di chi si ha di fronte, tenendo conto per esempio delle differenze sociali e linguistiche.

L’alleanza scuola famiglia, dunque, non può compiersi senza un impegno serio da entrambe le parti in cui fiducia e chiarezza siano il presupposto di fondo, grazie all’ascolto delle diverse e reciproche esigenza sempre al fine di costruire il patto educativo di cui parlavo prima e una vera e propria comunità educante in cui ognuno faccia la sua parte.

Siamo invece di fronte, spesso, a una situazione in cui il genitore rischia di non riconoscere la giusta autorevolezza al docente mentre il docente vede nel genitore un nemico, un ostacolo. Al principio di corresponsabilità educativa scuola famiglia si sostituisce un generale discarico di responsabilità.

Tutto questo si inserisce in un generale depauperamento del ruolo sociale ed educativo della scuola, il disconoscimento del valore dell’esperienza scolastica. Istruzione e formazione non sono più considerati come valori fondanti della cittadinanza.

Non sembriamo renderci conto, a nessun livello oserei dire, che con meno scuola, istruzione e formazione non solo saremo culturalmente più ignoranti ma soprattutto più poveri socialmente, più fragili meno consapevoli e meno capaci di costruire una società inclusiva e giusta, di combattere le disuguaglianze.

La scuola non è più percepita come strumento decisivo di crescita e promozione personale e sociale ma solo un luogo dove apprendere, raccogliere nozioni.

Nel rispetto dei ruoli la scuola non può e non deve essere una appendice della famiglia. E’ un luogo altro dove i genitori possono essere alleati ma non protagonisti e dove chi la scuola la vive tutti i giorni si deve assumere il compito di assicurarsi che la scuola sia uno spazio aperto, ricco, plurale, di relazione fra adulti e giovani e fra giovani e giovani, dove maturare consapevolezza critica, rispetto delle istituzioni, capacità di vivere in una comunità democratica.

La pandemia ha fatto emergere questi temi in modo ancora più evidente. Si sono definitivamente persi i confini fra pubblico e privato. Le mura della scuola sono diventate le stanze da letto dei ragazzi (quando non una cucina o uno sgabuzzino dove trovare un po’ di pace in una casa piccola e sovraffollata) e i salotti degli insegnanti. L’idea di affidare anche fisicamente il proprio figlio a una istituzione di cui si poteva e si doveva avere fiducia è crollata. I genitori hanno potuto sentire lezioni, interrogazioni, si sono dovuti sostituire agli insegnanti alle volte assumendo ruoli che non dovrebbero svolgere, hanno assistito spesso impotenti al lento spegnersi in una apatia sempre più difficile da recuperare (quando non vera e propria depressione) dei propri figli. Senza necessariamente avere gli strumenti per affrontare questa situazione, o il tempo o le risorse.

Di fronte a un sistema che ha negato una emergenza e una classe insegnante che spesso non ha saputo o potuto gestire un cambiamento epocale e farsi carico di sostenere ragazzi e ragazze che sono stati reclusi per un anno. Il clima creatosi intorno alla scuola in questi mesi, ha tolto ancora di più forza al valore educativo e formativo della scuola, perché la DAD non può essere considerata tale. Spesso quello a cui abbiamo assistito è una deresponsabilizzazione collettiva, unita a un grande senso di solitudine e di inadeguatezza, al quale gli insegnanti hanno troppo spesso risposto reiterando un meccanismo che mirava a valutare appena possibile il raggiungimento degli obiettivi didattici. E i genitori si sono sentiti persi, abbandonati o peggio in diritto di entrare nel merito di questioni che normalmente non dovrebbero riguardarli. Un fallimento collettivo.

Ecco io credo che a fronte di tutto questo si debba prima di tutto riportare la scuola e gli studenti al centro, del dibattito, degli interessi, degli investimenti perché siano effettivamente una priorità.

Ma credo che sia anche importante ricostruire la fiducia reciproca fra chi la scuola la vive a vario titolo, si debba avere la capacità di interrogarsi su quanto e come si svolge il proprio ruolo educativo, proprio per costruire una vera comunità educante con al centro le persone, il loro sviluppo, il loro benessere e la loro crescita.

Riziero Zucchi – COMUNITA’ EDUCANTE

“Aiutarsi vicendevolmente è molto importante vale ovunque, vale in un grande paese come l’Italia. Ma da grandi questo si dimentica. Vivere insieme significa che ognuno ha bisogno degli altri . Aiutarsi rende migliore la vita di tutti quanti.”

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, a una scuola elementare di Roma.

Uno sguardo al passato (prossimo)

L’individualismo che determina l’isolamento delle persone non è sempre esistito. Prima della famiglia mononucleare vi era la famiglia allargata, prima della solitudine urbana la comunità di villaggio. Memorie vive nel ricordo dei nostri padri. Non ritorneranno più: erano forme di vita comunitaria ma dominate da consuetudini che soffocavano la persona e da un patriarcato fondato sul dominio. Rimane tuttavia la memoria di una grande solidarietà di base. Si può partire da quella memoria depurandola dalle scorie negative, costruendo una condivisione educativa tra le persone, fondata sul rispetto e la cura reciproca.

Esiste comunità oggi ?

La comunità educante non è data, viene costruita in una dimensione di progressivo sviluppo ed evoluzione. L’attuale situazione sociale non aiuta a costruirla: viviamo in quella che il sociologo Bauman chiama società liquida. Il mondo appare dominato dall’insicurezza, spesso creata ad arte a scopo di potere. Le persone vengono spinte a diffidare di tutti, a chiamare questo isolamento autonomia, quando autonomia è la capacità di relazionarsi con l’altro, creando solidarietà, legami, azione comune, situazioni che fanno paura a chi gestisce il potere.

E’ la società dello spettacolo, indicata da Guy Debord in cui l’importante è l’apparire. Vengono chiamati social strumenti di comunicazione funzionali al consumismo, termini come ‘amicizia’ vengono stravolti nel loro uso all’interno di una relazionalità effimera. La complessità del reale viene semplificata creando polarizzazioni che preparano il conflitto. Il collegamento diventa la connessione che ci rende più fragili, perché non se ne può fare a meno, diventa una protesi all’interno della quale viene risucchiata la persona. Siamo immersi

in una realtà virtuale, i confini tra la vita on line e quella off line tendono a sparire. Gli occhi e gli sguardi che collegano le persone sono nascosti dagli schermi dei cellulari e dei computer che ci guidano nelle loro dinamiche eterodirette. L’infosfera è dominata da pochi potentati che si inseriscono nelle pieghe della vita di tutti, seguendo la logica del profitto. Da produttori siamo diventati consumatori, rischiamo di consumare noi stessi consumando il mondo. Uno scossone ci è venuto dalla pandemia. Saremo in grado di impararne la lezione? Il tema della costruzione della comunità, proposto dall’Acmos fa riflettere.

Come costruire una comunità educante?

Va costruita consapevolmente partendo dalla realtà in cui si vive.

Partendo dalla cura e dal rispetto di sé, allargando l’orizzonte di impegno verso le comunità che ci coinvolgono: famiglia, scuola, società, mondo. Lo slogan che guida è quello dell’ecologia pensare globalmente agire localmente. Occorre partire dall’assunto che nessun uomo è un’isola, diventiamo noi stessi tramite gli altri, siamo coloro di cui ci prendiamo cura. La crescita della persona non si forma dall’interno, ma dalle relazioni con gli altri, in primis i genitori, poi nell’ambito sociale e nella casa di tutti, il mondo.

Famiglia è il primo ambito formativo La nostra proposta passa attraverso la realizzazione della Metodologia Pedagogia dei Genitori. Valorizzare conoscenze e competenze educative della famiglia. Ogni genitore conosce la storia del figlio, almeno per i primi anni. Pone le basi per il suo ingresso nella società: gli dà i fondamenti della comunicazione, lo fa passare dal linguaggio non verbale a quello verbale, propone il senso dell’oggettività. L’attuale individualismo consumistico crea un mondo senza educazione, in cui al posto di valori si danno cose.

La famiglia prende consapevolezza attraverso i Gruppi di narrazione ispirati alla pedagogia dei Paulo Freire. Nei Circoli di cultura i contadini si alfabetizzavano parlando della loro attività di costruttori del mondo prendendo coscienza della loro dignità. Le famiglie nei gruppi di narrazione vengono invitate a esporre gli itinerari educativi compiuti coi figli, si coscientizzano delle loro capacità e conoscenze. Presentano le qualità positive dei figli agli altri genitori creando genitorialità collettiva. A questi gruppi di narrazione partecipano anche esperti e professionisti parlando di loro o come genitori o come figli, creando legami con le famiglie, attuando il patto educativo fondato sull’educazione.

Il Gruppo di narrazione è strumento utile per creare comunità educante?

Non è un gruppo di mutuo auto aiuto, ma di condivisione. Non vi sono conduttori quanto persone che si prendono cura del buon andamento delle riunioni. Ognuno partecipa parlando su temi positivi e generativi. Domina l’ascolto: quando uno parla tutti devono esser attenti, senza interrompere. Non si fa dibattito, non vi sono giudizi, non si danno consigli. Si crea comunità perché ciascuno narra su temi concreti che riguardano la sua esperienza

umana. Regala una parte della sua storia agli altri, stando bene attento a raccontare solo quello che vuole gli altri sappiano di lui. Non ci si mette a nudo: nei gruppi di narrazione si conserva sempre una parte che riguarda l’identità di ciascuno. Si collegano le vite di tutti che arricchiscono di esperienza, si impara dagli altri, si diventa se stessi attraverso vicende altrui

che diventano nostre. Al termine del gruppo di narrazione tutto cambia: i singoli diventano collettività, si intrecciano tra di loro le vite di tutti, i racconti così comunicati diventano il collante, la base, per il collegamento tra le persone. Vi è il desiderio di ritrovarsi, si scopre che le persone sono migliori di quanto normalmente si pensi, nuovi rapporti si istaurano. E’ uno strumento che qualsiasi gruppo può adottare per diventare comunità.

Scuola

In famiglia avviene la prima individuazione: diventiamo noi stessi, da insieme di cellule che trasformano cibo in deiezioni, acquistiamo una identità sempre più complessa, sempre più consapevole di sé. Non siamo più solo un bimbo, una bimba, siamo Giuseppe, Isabella, Giovanni, Laura. A scuola Giuseppe incontra altri Giuseppe, Isabella altre Isabelle, è la socialità, il gruppo si allarga, acquista dimensioni marcatamente collettive. Questo avviene se la scuola in tutte le sue componenti ed a qualsiasi livello ha chiara la sua funzione di socializzazione.

La scuola può diventare Ecosistema educativo fondato sulla relazione.

Non solo una struttura che elabora competenze, distribuisce sapere, valuta acquisizioni e rilascia diplomi, ma una comunità educante in cui ogni componente, dirigente, personale docente e non docente, studenti e genitori interagisce con le altre, esercitando un’azione formativa sugli altri, nell’ambito delle proprie funzioni. La prima mission della scuola è metter in grado le persone di esprimere le proprie potenzialità.

Tale concezione non è pienamente accettata dai più alti livelli, da coloro che hanno compiti di indirizzo. La scuola viene presentato come ente che eroga servizi caratterizzati da efficienza e funzionalità rispetto al sistema produttivo e non come comunità di formazione. Occorre lottare a più livelli per proporre alla scuola un’impostazione che tenga conto della sua responsabilità educativa.

Si parte dalla singola classe e dai docenti. La libertà di insegnamento dà agli insegnanti possibilità di stabilire non solo i criteri didattici, ma permette di organizzare la classe secondo criteri funzionali alla creazione di una comunità educante. Alla base vi è l’etica del riconoscimento, chiara nell’Umanesimo e nel Rinascimento: lo studio delle materie non è fine a se stesso ma fondamento per la formazione dell’uomo. Alla base la consapevolezza che chi entra nella scuola ha una cultura e una personalità, una storia che lo identifica e questa concezione, diventa la possibilità di creare comunità, nel rispetto della persona e delle sue scelte

L’esperienza del gruppo di narrazione, Strumento della Metodologia Pedagogia dei Genitori propone dinamiche funzionali alla creazione di una comunità educante.

Si parte dal momento più delicato della scuola, l’inizio dell’anno, quando, statu nascenti, tutte le componenti, in particolare gli studenti sono in trepidazione per il futuro, hanno una disposizione d’animo favorevole e soprattutto le relazioni sono ancora allo stato fluido, non sono ancora stabilizzate.

Il docente il primo giorno entra in classe e chiede agli studenti di mettere i banchi in cerchio. E’ la disposizione migliore per creare comunità, tutti sono sullo stesso piano, non vi è una posizione di preminenza e soprattutto vi è la possibilità per tutti di fissarsi negli occhi di comunicare se stessi non solo verbalmente. Si chiede a tutti un profondo silenzio, in grado di creare un’atmosfera ricca di interesse e di attenzione. Siamo all’inizio dell’anno e non è difficile ottenerla. Il docente si presenta alla classe, non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano, scegliendo di esporre particolari che ritiene utili siano conosciuti dai ragazzi. Può parlare di sé, delle sue passioni, della sua famiglia, dei suoi viaggi ecc.

Agli allievi conoscere la persona dell’insegnante che li accompagnerà nel corso dell’anno interessa particolarmente: hanno bisogno di avvertire la sua umanità, una conoscenza diretta e esplicita costruisce un ponte relazionale tra l’insegnante e loro. Si chiede poi a turno ad ogni allievo di presentarsi, proponendo i propri punti di forza. I compagni sono pregati di ascoltare in modo attento, senza fare domande, in modo che chi parla si senta rispettato e accolto. Il silenzio, l’attenzione, promossa e vigilata dal docente, crea una situazione di ascolto intenso, quasi un rituale, che approfondisce il rispetto tra i singoli e nell’intera classe.

Al termine tutti sono entrati con le loro narrazioni nel cuore e nella mente dei compagni e dell’insegnante. E’ l’inizio di un viaggio educativo iniziato attraverso il protagonismo di tutti componenti. Quello dell’assemblea di classe, del gruppo di narrazione, è uno strumento da utilizzare nel corso dell’anno, non solo nei momenti di tensione ma soprattutto per rinnovare un clima di partecipazione e comunità. Il valore educativo consiste nell’attenzione corale con la quale tutti sono stati ascoltati e nel protagonismo di ciascuno, supportato dalla presenza attiva del docente, garante del rispetto dovuto a ciascun componente

Cosa produce la comunità educante?

Una comunità esiste solo se è educante, se è permeabile, se tutti contano, se non vi sono capi e si prendono decisioni di cui tutti sono autori consapevoli. La gioia di decidere insieme, di far diventare nostri gli ideali degli altri. Unire le forze per uno scopo comune. Raggiungerlo tutti insieme. Permette di esser se stessi e di essere felici. Felicità significa poter contare sugli altri. Vuol dire reciprocità condivisa.

Manifestare i propri sentimenti, avvertendo che saranno accolti e rispettati. Donarsi agli altri sicuri che gli altri ci proteggeranno. Poter manifestare problemi, debolezze, fragilità, con la consapevolezza che gli altri ci aiuteranno a superarle, rendendoci migliori. Sapere che l’imperfezione ci appartiene e che solo assieme possiamo esser completi. Le nuove virtù sono la delicatezza, la gentilezza, la dolcezza. Impariamole dalle donne! La completezza è la comunità Siamo tutti interconnessi. La gioia della condivisione del dolore e della felicità. Sapere che qualcuno ci sta pensando e che gli altri tengono conto del nostro apporto, che la nostra presenza nel mondo ha un significato ed è confermata da chi ci circonda. Sapere mettere in campo le nostre capacità riconosciute e sostenute dagli altri. Moltiplicarle nell’azione comune. Poter condividere ideali e realizzarli sul serio. Nel rapporto con gli altri uno alimenta se stesso. Come il cibo che viene dall’esterno ci permette di crescere, così le relazioni umane alimentano la nostra umanità. Danno un senso alla nostra vita, quando senso significa avere uno scopo, una ragione per esistere. Più lo scopo è grande più rende felici, ma lo si raggiunge solo in un impegno collettivo. Preparare assieme una realizzazione condivisa e festeggiarla tutti quando si è raggiunta. La gioia è condivisione, la solitudine tristezza, la gioia è fare (assieme), la tristezza è la noia.

Comunità è sapere che qualcuno è esistito prima di noi e ha posto le basi per la nostra crescita, esser coscienti che prepariamo il mondo per gli altri e dobbiamo lasciarlo migliore. Il dono è quello che caratterizza la comunità ed è soprattutto dono di sé ma ciò avviene se ci si sente valorizzati, apprezzati e accettati.

La comunità non è data la si costruisce giorno per giorno continuamente, è una possibilità di esistere e di autorealizzarsi. Nella costruzione di una comunità si propongono valori in azione che vanno in senso contrario alle concezioni che sostanziano la visione della società in cui viviamo. Alla triade ”Competizione, concorrenza, produttività” la comunità sostituisce “Cura, cooperazione, uguaglianza”. Un proverbio cinese recita: Vuoi far volare il tuo aquilone? Corri controvento! Contro la marea del pensiero unico che ci accerchia e travolge. Comunità è poter tendere le mani e collegarle con chi ha iideali comuni ai nostri. Significa dare un senso alle nostre azioni, dare uno scopo all’esistenza, cercarlo, collegarlo agli altri e realizzarlo assieme.

Comunità è tutto, parlarne significa parlare della vita e del suo significato. Se ne parlerebbe all’infinito, ma è necessario fermarsi. Comunità è anche lasciare gli altri esprimersi, ascoltarli, fare spazio alle loro idee alle loro storie e farle nostre!

Grazie dell’attenzione e, prima possibile, di nuovo assieme, per pensare collettivamente come nel film di Werner Herzog Dove sognano le formiche verdi, che nel ‘lontano’ 1984 invitava a imparare dagli aborigeni australiani a fare comunità (educante?) con la natura di cui siamo (già) parte!

14/12/2021
Articolo di