
25 minuti in Colombia
Essendo passeggeri sulla moto si possono fare parecchie riflessioni, si entra in uno stato zen in cui i pensieri si mescolano con il vento in faccia, il freddo nella giacca e il rumore del motore.
Spesso per andare al lavoro nelle campagne colombiane, vengo accompagnata da simpatici moto-tassisti, che scarrozzano le persone dalla città alle veredas (piccole frazioni di campagna). Sono viaggi relativamente corti che però mi permettono belle chiacchierate o introspettive elaborazioni.
Ieri pomeriggio ho calcolato 25 minuti di viaggio e in 25 minuti mi sono successe almeno 4 cose bellissime, che mi fanno sentire la fortuna di immergermi tutti i giorni nella natura e nelle vite delle persone che la abitano.
Dopo 5 minuti di salita mi rendo conto che un cane ci sta correndo affianco, ha la lingua rosa tutta fuori per la fatica, ci accompagna e abbaia contento, è nero come la notte della campagna, in cui le uniche luci sono quelle delle case e quella delle stelle.
Ne passano altri 5 e dobbiamo rallentare, le mucche in mezzo alla strada non ci permettono di passare, non gli importa delle grida della padrona e vanno dove vogliono, sono giganti ribelli, hanno fatto il loro dovere ma non ne vogliono sapere di andare a dormire e soprattutto di stare in fila.
Dopo una curva bella stretta spuntano in lontananza due arcobaleni, gli indigeni colombiani dicono non si debbano indicare, portano sfortuna. Io me ne dimentico sempre e sempre grido di gioia. La pioggia che passa lascia l’erba umida e riempie gli occhi di colore.
Si strombazza ad ogni incontro, le persone vanno salutate tutte e sempre. Che siano amici, vicini, passanti, non importa. Il saluto fa parte della bellezza della campagna, è sufficiente un cenno del capo, un “adios” gridato, una mano sventolata. Incontriamo dieci persone e le salutiamo tutte, di alcune parliamo, che i gossip non sono mai abbastanza.
Dalla strada sterrata passiamo all’asfalto, le gambe ringraziano sempre il cambio, si rilassano un po’ e anche le ruote scivolano più tranquille. Siamo passati dai 1800 metri ai 2300, cambia l’aria, cambia il vento, cambiano le piante e le piantagioni. Dal caffè passiamo alle patate, entrambi immancabili in tutti i pasti colombiani.
Stringo forte il cappuccio perché non mi entri tanta aria nelle orecchie ma devo lasciarlo andare quando un cane meno simpatico del precedente cerca di mordermi la gamba, correndoci affianco. “Non smetterò mai di aver paura di questi cani” grido all’autista, sghignazza dentro il casco e mi tranquillizza “alla fine non mordono”.. bah.
Ci avviciniamo al pueblo, dove lascerò la moto per un mini van che porta a Pasto, il capoluogo del Nariño, dove vivo. Per le viuzze passano gli ultimi raggi di sole, sono le 6 ed è quasi buio. Mi mancano le sere d’estate in cui fino alle 9 e mezza c’è ancora luce , anche se è ormai un’abitudine considerare concluso il giorno molto presto.
Saluto il mototassista e pago il viaggio. Nelle cuffie cerco sempre di mescolare musica italiana e musica latina per accompagnare i mie ritorni a casa, il paesaggio andino crea accoppiate strane con i sottofondi di Calcutta, Liberato e Maria Antonietta.
Penso alla responsabilità di raccontare un’altra Colombia, dove si respira pace, dove si coltivano i frutti della terra e della pazienza, dove si cammina al tramonto immersi nella bellezza. A poche ora da qui è l’inferno. L’inferno della coca, della morte, della minaccia, della corruzione.
Dopo le recenti elezioni presidenziali, in cui la speranza, raffigurata da Gustavo Petro, candidato della sinistra, non ha potuto sconfiggere Ivan Duque, delfino politico di Alvaro Uribe, gli omicidi di leader sociali sono aumentati a dismisura.
Chi cerca di costruire speranza, cambio, cultura, viene sistematicamente fatto fuori, il neo governo nega implicazioni di qualsiasi genere ma non garantisce protezione e presenza laddove le minacce si fanno morte, dove la paura è tornata a farla da padrona.
Quasi ogni settimana si contano morti, contadini, indigeni, afro colombiani, sindacalisti, ecologisti, esponenti dei movimenti sociali. Due settimane fa ci si è riuniti nelle piazze colombiane per accendere una candela e cantare alla pace, alla tregua. La morte genera paura ma anche unione, forza.
La Colombia è uno dei paesi più biodiversi del mondo, un paese di tradizioni millenarie che neanche la crudele conquista spagnola ha distrutto, di frutta succosa, di paesaggi mozzafiato, il paese della salsa, della cumbia.
In soli 25 minuti di moto ci si può innamorare della Colombia, in tre anni è puro amore. Sono contenta di avere il privilegio di vivere in un paese che vuole cambiare, di lottatrici e lottatori, che vogliono scrivere nuove pagine e nuovi orizzonti, al di la della paura.