Il settembre 2018 dell’UE

 

a cura del Centro studi di Acmos

Il 20 settembre a Salisburgo si è riunito il Consiglio europeo sotto la nuova presidenza austriaca. I temi al centro della discussione erano due, sicurezza (cioè immigrazione) e Brexit; il vertice si è concluso con un nulla di fatto perché relativamente all’immigrazione le decisioni sono state rinviate al vertice di dicembre e relativamente alla Brexit al vertice di ottobre.

Per quanto riguarda la prima questione, sono ricomparse vecchie proposte: la “solidarietà flessibile”, cioè la possibilità, per i Paesi che non vogliono partecipare alla redistribuzione dei migranti, di versare un contributo finanziario; gli investimenti per gli Stati africani, non solo per controllare i flussi ma per sostenerne lo sviluppo economico; il rafforzamento di Frontex, cioè l’ampliamento dei poteri della Guardia costiera e di frontiera europea (sottraendo competenze agli Stati membri) e l’aumento del numero dei funzionari fino a raggiungere le 10.000 unità. Su quest’ultimo punto si è registrata la netta opposizione del presidente italiano Conte che ha rivendicato il diritto alla sovranità che verrebbe leso da quel provvedimento; immediata è stata la reazione del presidente Macron: “I Paesi che non vogliono rafforzare Frontex usciranno da Schengen”.

L’accordo sulla Brexit (la cui data è fissata per il 29 marzo 2019) non si raggiunge perché è incagliato intorno a due nodi, l’accesso al mercato comune (che comporta anche la libera circolazione delle persone, osteggiata dal Regno Unito) e la frontiera irlandese (se l’Irlanda del Nord rimanesse nell’area di libero scambio, il Regno Unito risulterebbe diviso in due territori doganali, condizione inaccettabile per il governo inglese).

Sullo sfondo di questi problemi si proietta l’ombra delle elezioni europee del prossimo anno.

E’ soprattutto la questione dell’immigrazione che orienta le mosse dei governi, molto attenti agli umori dei loro elettorati nazionali.

Su questo tema gli esponenti “sovranisti” (da Orban a Salvini) hanno una posizione comune, segnata dalla risoluta intenzione di fermare i flussi che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente: molti fanno notare che, a parte questa opzione di fondo, gli interessi dei “sovranisti” sono in contraddizione tra di loro (Salvini vuole una redistribuzione di migranti che Orban vede come il fumo negli occhi) e che non potrà mai nascere una vera “internazionale sovranista”, che è di per sé un ossimoro. In realtà questa “internazionale” (vagheggiata dall’americano Steve Bannon e teorizzata dalla fondazione europea The Movement) esiste già di fatto intorno ad un obiettivo politico di grande rilievo: indebolire l’Unione europea, rendendola un guscio vuoto, e riportare i poteri in capo agli Stati nazionali. Le elezioni del prossimo anno avranno proprio questa come posta in palio.

Un primo indiretto successo i “sovranisti” lo hanno già colto: la Merkel appoggerà la candidatura del suo connazionale e capogruppo del Ppe Manfred Weber alla presidenza della prossima Commissione europea: Weber è decisamente un conservatore e non è particolarmente ostile a Orban e al cancelliere austriaco Kurz che rappresentano la quinta colonna dei “sovranisti” all’interno del Ppe; vero è che anche Weber e Kurz hanno votato in Parlamento a favore dell’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati all’Ungheria, sotto accusa per gli attacchi allo stato di diritto, per la legge sull’asilo e quella contro le Ong, ma quel voto del Parlamento non modificherà nella sostanza la capacità dei “sovranisti”, interni ed esterni al Ppe, di condizionare questo partito quando si dovranno definire i nuovi equilibri del parlamento che uscirà dalle elezioni e in particolare l’orientamento della futura Commissione. Nessuno può escludere un inedito asse tra popolari e “sovranisti” in sostituzione di quello tra popolari e socialisti.

Le recenti elezioni svedesi del 9 settembre, con l’avanzata della destra populista, contribuiscono a prefigurare un quadro allarmante per il futuro dell’Unione.

Il fronte “europeista” per il momento sembra debole.

Prima delle elezioni tedesche del settembre 2017 sembrava possibile la creazione di un forte asse tra la Francia di Macron e la Germania della Merkel per far compiere al progetto di integrazione europea un salto di qualità. Il risultato di quelle elezioni ha spostato a destra l’equilibrio politico tedesco e ora la Merkel deve preoccuparsi della concorrenza del nuovo partito di destra “Alternativa per la Germania” (Afd) e delle fibrillazioni della Csu, il partito democristiano bavarese, suo tradizionale alleato che ha subito la maggiore erosione di voti da parte dell’ Afd.

La cancelliera si è già riposizionata un po’ più a destra sostenendo, come si diceva poco sopra, la candidatura del conservatore Weber alla presidenza della Commissione europea; Macron vede calare costantemente il suo gradimento in Francia: difficilmente due debolezze costituiranno una forza.

Nel nostro Paese qualcuno propone un fronte largo europeista “da Macron a Tsipras”: anche questa proposta rivela una evidente debolezza. E’ difficile pensare che le sinistre più radicali possano accettare un programma comune con quelle sinistre europee che hanno condiviso negli anni passati tutte le scelte europee che hanno strangolato la Grecia e che sulla scelta dell’”austerità espansiva” hanno emesso soltanto, quando va bene, qualche balbettio.

 

 

#1-Il ministro del Tesoro della Ue

 #2- Brexit e profughi

#3-Il rinato impero asburgico contro i migranti

#4-La disintegrazione dell’Unione europea

#5 – Frontiere e nazionalismi

#6- Bruxelles “cuore” d’Europa

# 7 – Profughi: la nostra ignavia da Evian a Bruxelles

#8 – Un manuale antiretorico dell’Unione europea

#9 – Ventotene 2016

#10 – Orban e il referendum ungherese

#11 – Populismi ed euroscetticismi

#12 – L’unione a più velocità

#13 – Populismo, euroscetticismo, sovranismo

#14 – Il populismo 2.0 in Europa

#15 – Il dicembre 2017 dell’UE

#16 – Il gennaio 2018 dell’Unione Europea

#17 – DiEM25, Varoufakis e il “terzo spazio” in Europa

07/11/2018
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