Verso una nuova regolamentazione bancaria in Europa?

Un articolo del Professor Riccardo Calcagno

Nel settembre 2008 il crollo della Lehman Brothers dava ufficialmente il via alla più grande crisi finanziaria mondiale dal 1929. Mentre il Lunedi Nero dell’Ottobre 1987 e l’esplosione della bolla speculativa delle dot.com nel 2002 furono crolli del mercato borsistico che non causarono una crisi bancaria, nel 2008 il problema esplodeva proprio nel cuore del sistema finanziario delle economie moderne. Mentre le economie riassorbirono lo shock dei crolli borsistici del 1987 e del 2002 piuttosto in fretta, la crisi iniziata nel 2008 ancora si trascina quasi 5 anni dopo, a dimostrare che le crisi bancarie sono molto peggio dei crolli borsistici. Questo perché una crisi bancaria colpisce un punto nevralgico del sistema capitalistico moderno, il flusso del credito da risparmiatori a investitori. Le banche, nel loro core business, raccolgono i fondi dalle famiglie, selezionano i debitori, e quindi danno alle imprese il capitale necessario per investire ed operare. Un crollo dei valori azionari, invece, rende tutte le imprese quotate meno care e coloro che hanno investito in titoli più poveri, ma gli interventi delle banche centrali in passato ha evitato che questo bloccasse il flusso del credito.

La risposta delle autorità alla crisi bancaria del 2008 è stata, come tutti sappiamo, prima di tutto salvare le banche soprattutto con soldi pubblici, il che ha fatto esplodere i debiti sovrani degli Stati, e poi di proporre una nuova regolamentazione per il sistema creditizio. Mi concentro qui sulla regolamentazione. Da tempo esiste un comitato internazionale per la supervisione del sistema bancario, il cosiddetto Comitato di Basilea, che propone standard internazionali a cui poi gli stati e i regolatori nazionali decidono se attenersi o no. Nel settembre 2010 questo comitato propose un nuovo sistema di regole, detto Basilea 3, molto più ampio e stringente del precedente Basilea 2. Le nazioni del G20 si impegnarono a integrare Basilea 3 nella regolamentazione nazionale entro il 2013, ma ad oggi mi sembra che solo l’Unione Europea abbia mosso i primi passi concreti in questa direzione, con un testo approvato dal Consiglio in Marzo e il voto del Parlamento Europeo in Aprile di quest’anno. Come vedete, le risposte degli stati iniziano a concretizzarsi 5 anni dopo la crisi. E se a questo aggiungete che molte banche, operativamente, credo fossero ancora adeguandosi agli standard di Basilea 2 fino a poco fa, capite quanto sia lunga, tortuosa, imperfetta, la via della regolamentazione.

Questi sono più o meno i fatti. Ma i fatti non rispondono alle domande che un po’ tutti ci siamo fatti dal 2008 ad oggi. Era proprio necessario salvare le banche con soldi pubblici? Gli standard di Basilea 3 sono adatti ad evitare nuove crisi sistemiche? La regolamentazione, visto che deve essere negoziata ed approvata da vari organismi, non è destinata a “nascere già vecchia”?

Un intervento pubblico era probabilmente necessario. Il panico si diffuse dopo il fallimento di Lehman, una banca piuttosto piccola e neppure centrale nel sistema americano, proprio perché a quel punto un po’ tutti capirono che il Tesoro americano non avrebbe salvato tutti. Il fallimento di una banca sistemica avrebbe probabilmente generato degli effetti a catena inimmaginabili. Ma molti commentatori e studiosi hanno immediatamente scritto che (1) l’intervento pubblico doveva essere limitato; (2) non avrebbe dovuto limitare le perdite degli azionisti delle banche; (3) il fatto di rifinanziare una banca avrebbe avuto ripercussioni positive su tutte le altre di cui si doveva tenere conto; (4) una delle preoccupazioni principale doveva essere di garantire il flusso del credito, e molte altre idee sensate che poi non sono state ascoltate.[1]

Gli standard proposti da Basilea 3 riguardano molti aspetti dell’attività bancaria: da maggiori riserve di capitale che le banche devono conservare a fronte dei loro impieghi, a una maggiore trasparenza, a limiti nella remunerazione dei dirigenti, a nuovi metodi per calcolare la rischiosità dei propri investimenti, e questo per cercare di capire se la singola banca sta aumentando il rischio di una crisi di sistema con le proprie scelte. L’Unione Europea ha recepito alcuni punti nella direttiva “Capital Requirement Directive 4”, più di un migliaio di pagine che non sono riassumibili qui in poche righe. Un punto però è ritenuto fondamentale, ed è già oggetto di dibattito. Le banche europee sono tenute a conservare non solo più riserve di capitale, ma queste devono essere ancora più liquide e sicure rispetto alla regolamentazione precedente.  E soprattutto, si inserisce il principio per cui le riserve bancarie devono essere maggiori nei periodi di crescita economica e più basse durante le recessioni (riserve di capitale anti-cicliche). Quest’ultima caratteristica è considerata fondamentale da molti economisti esperti di regolamentazione bancaria, perché si osserva chiaramente che il credito delle banche è molto più variabile del PIL. In pratica, durante i boom economici le banche espandono eccessivamente il credito attratte dalle prospettive di crescita delle imprese che sembrano quindi solvibili. Questo può creare una “bolla speculativa” in qualche settore – le “dot.com” alla fine degli anni ’90, il settore immobiliare agli inizi dei 2000 – e le conseguenze dell’esplosione di tali bolle le conosciamo tutti. Al contrario, nei periodi di recessione le banche restringono eccessivamente il credito perché i potenziali debitori sembrano troppo rischiosi e inaffidabili, e mantenere vincoli di riserve inalterati restringe un flusso di credito già atrofizzato.

I critici della regolamentazione spesso ci dicono che nel lasso di tempo necessario per studiare, mettere a punto, approvare, rendere operativa una nuova legge, i mercati già sono cambiati e i problemi da affrontare non sono più quelli che avevano causato la nascita della nuova legge. A volte credo proprio non abbiano torto.[2] Ma, nel campo della regolamentazione bancaria, è vero che si deve agire in fretta e non dopo 7-8 anni. Ed è anche vero che per agire in fretta un organismo centrale ne deve avere il potere. Trasferire più poteri di regolamentazione e supervisione alla Banca Centrale Europea dovrebbe essere una priorità, mentre viene ostacolato da più parti. Credo che su questi aspetti un po’ astratti ci giochiamo alcuni punti percentuali di crescita senza accorgercene o senza esserne adeguatamente informati dai giornali.

 

 


[1] Un articolo di sintesi piuttosto chiaro, anche se un po’ ampio, per chi fosse interessato è un report del CEPR del 2010 “Bailing out the Banks: Reconciling Stability and Competition” di T. Beck, Diane Coyle, M. Dewatripont, X. Freixas e P. Seabright, disponibile online.

 

 

[2] Altre volte invece le leggi cambiano troppo spesso, e non c’è neppure il tempo di capirne veramente gli effetti.

20/06/2013
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