Verso le elezioni, seconda puntata: 2001-2011

La seconda parte dell’analisi della politica italiana, da Tangentopoli in avanti, a cura del Centro Studi Streben.

L’elezione del 2001 segnò una vittoria con ampio margine della coalizione di centrodestra (in Sicilia 61 collegi su 61 videro il prevalere della casa delle Libertà). Iniziarono così 5 anni di legislatura, in cui il conflitto di interessi di Berlusconi (mai risolto negli anni di governo dell’Ulivo) esplodeva in tutta la sua evidenza plastica: una serie di cosiddette leggi ad personam vennero varate, per tutelare il Cavaliere dal rischio di processi o condanne. Ma conflitto di interessi stava anche a indicare, diventandone una delle parole d’ordine dell’opposizione, il macroscopico paradosso che Berlusconi incarnava: un proprietario di canali commerciali che aveva un peso determinante sulla tv pubblica, di fatto condizionando la Rai. Nel 2002 Berlusconi da Sofia in conferenza stampa (sarà ricordato come “l’editto bulgaro”) si scagliò contro Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro, colpevoli a suo dire di aver fatto un “uso criminoso” della tv pubblica pagata dagli italiani: di fatto fu un’epurazione che allontanò i tre giornalisti dai canali televisivi della Rai, per diversi anni. Nel febbraio 2002 il noto regista Nanni Moretti, prendendo la parola in una manifestazione in piazza Navona a Roma, accusò la classe dirigente del centrosinistra della disfatta elettorale di qualche mese prima e, metaforicamente, inaugurò la stagione dei “girotondi”: le mobilitazioni di una parte di società civile, contro le leggi ad personam che il Cavaliere (e la sua maggioranza) sfornava senza sosta. Berlusconi in cinque anni di legislatura riuscirà ad abolire il falso in bilancio, a ridurre i termini di prescrizione, a evitare i processi alle prime cinque cariche dello Stato (quindi anche per sé), a varare diversi condoni fiscali ed edilizi, a salvare Rete4 ed evitare leggi sul conflitto di interesse, a imporre il digitale terrestre e abolire la tassa di successione, oltre a ulteriori legge vergogna. Il culmine dell’arroganza lo vedrà varare una riforma costituzionale, nel 2005, che prevedeva vari aspetti, tra cui un rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio. La riforma sarà bocciata dal referendum confermativo, con il 61% di No, nel giugno del 2006.

Le elezioni dell’aprile 2006, questa volta con una nuova legge elettorale, a firma del leghista Calderoli (che definì la sua stessa creatura “una porcata”), videro come dieci anni prima contrapposti nuovamente Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Quest’ultimo ebbe la meglio, sebbene ottenendo una maggioranza alla Camera, ma di fatto non avendola al Senato. Nel maggio di quell’anno, Giorgio Napolitano, ex comunista e deputato di lungo corso, venne eletto Presidente della Repubblica. Il governo Prodi II avrà vita breve, circa due anni, per due principali motivi: i dissidi interni alla maggioranza e, soprattutto, i numeri risicatissimi in Senato, dove spesso fu il voto dei senatori a vita (all’epoca ben sette!) a fare da stampella al Governo. Già nel febbraio 2007 in Senato la Maggioranza andò sotto, su una risoluzione relativa alla politica estera, con riferimento alla presenza italiana in Afghanistan delle truppe italiane, all’interno di una missione Nato. I due voti determinanti contrari furono dei senatori Fernando Rossi e Franco Turigliatto (rispettivamente esponenti dei Cominusti Italiani e di Rifondazione Comunista). Prodi si dimise, ma Napolitano respinse le dimissioni e il Governo si ripresentò in Senato dove ottenne la fiducia, peraltro sempre sul filo di lana. Nel gennaio 2008 il ministro della Giustizia Clemente Mastella (leader del partitino Udeur) venne inquisito dai magistrati di Santa Maria Capua Vetere, insieme alla moglie. Mastella prima si dimise, per poi passare all’opposizione, facendo mancare la fiducia al Governo in Senato, nel febbraio 2008, costringendo Prodi a nuove e definitive dimissioni e allo scioglimento anticipato delle Camere.

Si tornava così al voto, dopo due anni appena di legislatura, nell’aprile 2008. Nel frattempo i DS (l’evoluzione del Pds) e la Margherita (partito che aveva riunito i popolari, ex democristiani, che si collocavano nel centrosinistra) si erano fusi insieme dando vita al Partito Democratico, il cui leader Walter Veltroni (già sindaco di Roma e ministro) era stato incoronato dalle primarie del partito, cui avevano partecipato milioni di italiani.

Si profilava uno scontro tra Berlusconi, di nuovo sugli scudi dopo due anni, e appunto Veltroni. Questa volta l’unità del centrosinistra si sfaldò: da una parte infatti si schierarono PD, Italia dei Valori (partito che faceva capo all’ex magistrato Antonio Di Pietro) e Radicali; dall’altra, sotto la sigla “sinistra arcobaleno”, ex comunisti, verdi e Sinistra Democratica, la costola più radicale dei Ds che aveva rifiutato la nascita del Pd. Il centrodestra si ripresentava con una coalizione che metteva insieme Forza Italia, Lega Nord e Alleanza Nazionale, ma senza l’Udc che correva da solo, né l’estrema destra, che puntava su Daniela Santanchè. Nonostante questa frammentazione parziale, la coalizione di Berlusconi vinse nettamente le elezioni. Al Cavaliere fu affidato il compito, per la quarta volta, di formare un nuovo esecutivo, che giurò nel maggio dello stesso anno. Berlusconi si apprestava a governare con un’ampia maggioranza e così fu, almeno per i primi tre anni. Da ricordare, nella legislatura la riforma della scuola (molto criticata) con la ministra Maria Stella Gelmini e la vicenda di Eluana Englaro, che riaccese roventi polemiche sul tema del fine vita. Le questioni della giustizia tornarono ad essere centrali nell’agenda del Governo: fu approvato lo scudo fiscale e il Lodo Alfano (che sospendeva i processi in corso per le principali cariche dello Stato); nel frattempo alcuni membri della Maggioranza, per questioni giudiziarie, diventavano sempre più imbarazzanti per l’Esecutivo: Marcello Dell’Utri sotto processo per concorso esterno 8e di lì a poco per altre gravi accuse), Totò Cuffaro per favoreggiamento aggravato alla mafia, Nicola Cosentino per rapporti con la Camorra. Inoltre, nell’estate 2010, il leader di Alleanza Nazionale e presidente della Camera, Gianfranco Fini, dopo uno scontro interno alla coalizione, fondò il partito Futuro e Libertà, creando un gruppo parlamentare di suoi fedelissimi e facendo dimettere i “suoi” ministri. Di lì a un anno, per il peggioramento esponenziale della situazione finanziaria del Paese, con non poche tensioni sui voti della legge di Bilancio, Berlusconi, anche su pressione delle istituzioni economiche europee e mondiali, rassegnerà le dimissioni, nel novembre del 2011. La pietra dello scandalo fu la questione spread. Il termine inglese “spread” in gergo finanziario indica in generale la differenza che c’è tra due valori. Dall’estate 2011 nel linguaggio comune spread è passato ad indicare un differenziale preciso: quello tra il rendimento (cioè quanto pagano di interesse a chi li possiede) dei titoli di stato decennali italiani (i BTP) e quelli tedeschi (i Bund). Il rendimento di un titolo di stato è in sostanza una misura della solidità percepita di un paese: un rendimento basso significa che gli investitori ritengono quel Paese in grado di ripagare facilmente i suoi debiti, mentre un rendimento alto significa che ci sono dei dubbi (e quindi gli investitori vogliono essere “premiati” per il rischio che si prendono). Lo spread si misura in “punti base”: un punto base è un centesimo di punto percentuale. La crisi greca, in pieno 2011, peggiorò rapidamente e tra gli esperti e gli operatori di mercato cominciò a diffondersi la preoccupazione di una rottura dell’area Euro. A giugno lo spread superò i 300 punti, il mese dopo oltre 400. A novembre, durante una crisi del governo Berlusconi in un voto alla Camera, lo spread arrivò al record mai più raggiunto di 574 punti base (anche se prima della chiusura scese leggermente, arrivando a 552). Ancora una volta, fattori di contesto europeo, questa volta di ordine economico, si riflettevano sulla politica italiana, portando alle dimissioni di un Governo e alla conclusione dell’ultimo Esecutivo a guida Berlusconi.

15/02/2018
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