Tutti vogliono qualcosa

Vi ricordate di Richard Linklater? Quello del clamoroso “Boyhood”, per intenderci. O della trilogia di “Before sunrise”, “Before sunset” e “Before midnight”. Nelle sale è uscito il suo ultimo film, scritto, diretto e prodotto. Nel Texas del 1980, il giovane Jake si iscritto all’Università, è un giovanissimo lanciatore di baseball nella squadra del college. Finisce a vivere in una casa assurda, abitata da altri suoi compagni di gioco. Tra matricole e “veterani”, i giorni (pochi) passano in fretta, in attesa dell’inizio dei corsi e degli allenamenti per la stagione sportiva, nella maniera più frivola possibile: feste e divertimento, con lo scopo di conquistare ragazze e bere molto alcool. Tra una serata a ballare disco music, o in un locale country, o a party in maschera, il tempo scivola via veloce e spensierato. Sullo sfondo, l’inizio degli anni ’80, ancora sotto l’effetto della sbornia del decennio precedente, i fantasmi che verranno ancora troppo lontani (l’epoca di Reagan e dell’Aids).

Con una colonna sonora accattivante, un’ambientazione accurata negli abiti e nelle acconciature (il baffo alla Freddy Mercury che spopola!), Linklater firma una pellicola leggera, che non si prende troppo sul serio, in cui i personaggi, quasi sempre sgangherati e a volte irresistibili, sono ritratti con affetto e simpatia. Il baseball resta una cornice, si vede solo un allenamento, pur venendo costantemente evocato. Il rito di passaggio all’età adulta, ancora lontana da venire, è il pretesto per raccontare una sospensione temporale: il futuro è lontano e non conta, c’è solo il presente, c’è sola la vita adesso, che va vissuta senza inquietudini, con il massimo risultato di divertimento edonistico.

Seguito ideale de “La vita è un sogno”, del 1993, dello stesso regista.

Nulla a che vedere con i demenziali prodotti sulla vita universitaria americana, che a volte ci vengono propinati al cinema. Linklater fa cinema intelligente, anche senza ambizioni sociologiche o cadenze drammatiche.

20/06/2016
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