Torino multietnica: il Ramadan

Vogliamo scoprire la Torino  Multietnica e, per farlo, il progetto Salvagente, in collaborazione con alcuni studenti dell’Università di Torino, analizzerà diversi temi legati all’integrazione ed ai contesti storici, politici, culturali e religiosi dei paesi di origine delle principali componenti etniche presenti sul territorio torinese.

 

Questi articoli mirano a decostruire alcuni degli stereotipi e dei pregiudizi più diffusi dai mass media riguardo all’identità, la storia e la cultura araba e la religione musulmana.

Ecco il primo articolo di Manuela Dragotta

 

Volendo definire il Ramadan in modo strettamente letterale, esso rappresenta il quarto dei cinque pilastri che sono alla base della religione islamica. “Sawm” (digiuno) è l’astensione totale da cibi, bevande, rapporti sessuali e fumo dall’alba al tramonto per l’intero mese di Ramadan, nono mese del calendario islamico (calendario lunare), sacro in quanto ‹‹mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza›› (Sura II, vv185).

Il Ramadan è obbligatorio per tutti i musulmani tranne che per alcune persone in momenti particolari della loro vita. Sono esentati infatti i malati di mente, i malati cronici, i viaggiatori, i minorenni, le donne in gravidanza e quelle che allattano. Mentre per le donne in fase mestruale vi è la possibilità di “interrompere” il Ramadan a condizione di “recuperare” i giorni perduti.

I giorni di questo periodo sono scanditi in modo abbastanza rigido da una sequenza di azioni, tutto ha inizio con la Niyyah (intenzione) ovvero una piccola preghiera che accompagni l’inizio del digiuno e, seguendo l’esempio del Profeta, è raccomandabile fare un frugale pasto prima dell’alba (suhur) ed uno al tramonto, momento in cui il digiuno si interrompe (iftar) con acqua o latte e uno o tre datteri (o comunque sempre in numero dispari), solo dopo si procede con la cena vera e propria (solitamente ricca di cibi calorici per affrontare la giornata successiva con le forze necessarie).

 

Abbiamo chiesto a M. egiziano, sunnita praticante emigrato in Italia da qualche anno insieme alla sua famiglia e a K. di origine marocchina, anche lei sunnita praticante, residente a Torino dall’età di 7 anni, di raccontarci come vivono questo mese di preghiera e digiuno.

 

Raccontami un tuo giorno tipo durante il Ramadan.

M.: Provo a fare tutto quello che farei normalmente, avendo cura di rispettare tutti i momenti di preghiera. Per me il vero sacrificio è mentale, non fisico. Diciamo che non riuscire a digiunare è una cosa a cui puoi abituarti, ma provare a non avere pensieri impuri, a non parlare male di chi ti sta vicino, a rispettare chiunque ti stia intorno è la vera difficoltà ..

 

K.: La mia giornata tipo inizia prima dell’alba, in quel momento si mangiamo tutti quei cibi che possono dare forza ed energia durante la giornata, evitando cibi molto salati e molto piccanti perché .. poi vado a dormire e mi alzo la mattina, facendo tutto quello che farei normalmente quindi studio e lavoro, l’unica differenza è che faccio attenzione ad utilizzare bene la poca energia che ho. Al tramonto poi, si rompe il digiuno ..e qui i cibi che mangio sono diversi a seconda che io sia sola o con la mia famiglia. Poi si prega e ognuno è libero di fare la preghiera e la lettura del Corano come vuole, c’è chi preferisce andare in moschea e chi pregare da solo.  

 

 Preferisci vivere questo momento qui in Italia o nel tuo paese d’origine?

M.: Come in ogni cosa ci sono pro e contro. Mi piace passare il Ramadan nel mio paese perché tutti sono concentrati su quello e quindi senti davvero un’atmosfera di raccoglimento, ci sono più moschee e avere tutta la famiglia accanto fa molto. Ma proprio per questo a volte diventa tutto “troppo”: le cene sono piene di cugini che fanno chiasso e vogliono giocare o che essendo più piccoli non capiscono ancora l’importanza di questo momento. Qui in Italia, sia io che i miei genitori siamo più concentrati sulle preghiere e sull’applicazione della disciplina interiore. Come contro posso dire che in Italia ci sono molte più tentazioni mentali che in Egitto, questo sì.. belle ragazze abbronzate e poco vestite non sono l’ideale per restare puri di cuore (dice ridendo).

K.: Io sono cresciuta qui, ho iniziato a farlo qui e l’ho sempre fatto qui. Non sono mai stata in Marocco nel periodo del Ramadan, mi piacerebbe molto farlo lì ma sento che l’Italia è anche il mio paese, quindi è indifferente.

 

Quanti anni avevi quando hai iniziato a fare il Ramadan?

M.: Ho iniziato a digiunare all’età di dodici anni.

 

K.: Quando ero piccola vedevo le mie sorelle più grandi che avevano già iniziato a digiunare e pensavo che volevo farlo anche io perché la vedevo come una sfida. Mi chiedevo se anche io un giorno sarei riuscita a digiunare come i grandi, non lo vedevo ancora dal punto di vista religioso perché non avevo ancora fatto il mio percorso spirituale.. Non c’è stato un momento preciso in cui ho iniziato a farlo, è stato per me naturale iniziare il Ramadan nell’età della pubertà.

 

Che atteggiamento avrai nei confronti dei tuoi figli? Trasmetterai loro il Ramadan come un “obbligo”?

M.: Farò tutto il possibile per convincerli che bisogna farlo .. ma glielo insegnerò gradualmente.

 

K.: Cercherò di far seguire loro lo stesso percorso spirituale che ho seguito io ma darò loro libertà di scegliere. Vorrei che la religione non fosse un’imposizione, dato che è qualcosa di spirituale, qualcosa che parte da dentro, qualcosa a cui  l’individuo deve arrivare da sé. Non può essere costretto. 

 

Quali sono le domande che ti vengono poste più spesso riguardo a questa tradizione? E come rispondi.

M.: Ci sono diversi tipi di persone che fanno diversi tipi di domande. C’è chi è veramente interessato e chi invece in realtà non lo è. In genere le domande più frequenti sono : “Ma come fate a non mangiare tutto il giorno?”, “Poverino! E adesso quanto dura questa sofferenza?” Alcune non volte non rispondo, se vedo che l’interesse è reale dico che lo faccio perché mi piace e perché sono stato abituato a farlo fin da bambino.

K.: “Ma non puoi mangiare niente niente niente? Neanche assaggiare?” E io ridendo rispondo : “No, niente niente!”. Ma non mi infastidisce, è giusto che la gente faccia delle domande su cose che non sa e a me fa piacere quando una persona è interessata. E’ mio compito informare sulla mia religione.

 

Cos’è per te il Ramadan?

M.: E’ il quarto pilastro dell’islam per me è un obbligo farlo a meno che non ci siano dei  motivi particolari che te lo impediscono. E’ un’abitudine e se non lo facessi tutti mi prenderebbero in giro.. Sento che se non preghi e non fai il Ramadan sei escluso da tutta la comunità.

 

K.: Il Ramadan ha sempre avuto un’atmosfera familiare molto bella come per voi potrebbe essere il Natale. Anche per chi non crede è un’occasione in cui la famiglia si riunisce, è bello dopo 15 ore rompere il digiuno tutti insieme. È un momento di festa ma anche una soddisfazione personale riuscire ad arrivare a fine giornata senza aver mangiato. Quando sta per finire il Ramadan mi viene nostalgia per i momenti di riflessione che ho avuto e per il clima familiare che si è creato. Posso dire che questo mese insegna la pazienza? Forse è proprio questa la vera jihad: vedere il cibo davanti a te e trattenerti dalla tentazione di portarlo alla tua bocca. Il senso della festa non è abbuffarsi di cibo dopo il tramonto, ma pensare a chi davvero non può mangiare tutti i giorni, sarebbe anche compito di chi non può adempiere il suo compito perché impossibilitato o malato dare da mangiare ad un povero.

 

 

 

 

01/07/2016
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