To the wolf

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To the wolf, Sto lyko in greco. Un quadro completo della situazione di crisi che la Grecia, insieme al mondo occidentale, sta soffrendo. Pennellate di un’esistenza ai margini, quella dei pastori della zona montana della Grecia occidentale, inospitale e fredda, dove i pochi superstiti trascorrono i giorni sempre uguali pascolando le pecore, sopportando il gelo, accompagnandosi ad alcool e sigarette.

 

I due giovani registi, Aran Huges e Christina Koutsopsyrou, raccontano l’evoluzione delle riprese, in occasione del TFF: “l’idea originale non era raccontare la crisi – dice la Koutsopsyrou – ma la vita semplice di queste persone che vivono in modo ancestrale la loro esistenza quotidiana. Con il passare del tempo, però, la crisi si è acuita ed è entrata totalmente a far parte delle loro vite, di quelle vite che stavamo raccontando, e non abbiamo potuto fare a meno di ometterla”.

Poco più di settanta minuti con il fiato sospeso, dove seguiamo diversi personaggi nel lento trascorrere delle ore e dei giorni, con poche parole. Un sapiente utilizzo del sonoro, concepito e montato per essere il filo conduttore, unico e perfetto, del film, permette al pubblico di seguire il pathos dello sviluppo, nonostante l’apparente semplicità della vicenda. Una storia che sembra fuori dall’esistenza reale, nonostante i duri richiami alla realtà che emergono qua e là dai brevi dialoghi, e che si conclude come un’incognita, volutamente lasciata aperta dagli autori. Quello che il TFF ha definito “il rito sacrificale” del finale del film lascia in realtà poco spazio all’immaginazione, e conferisce l’ultimo ritocco al quadro perfetto dipinto dai registi.

 

29/11/2013
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