Rosario Livatino e gli appunti da non dimenticare

 di Federica di Lascio

 

21 settembre 1990, SS 640 tra Canicattì e Agrigento. Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” impegnato in alcune delicate indagini di mafia, viene ucciso brutalmente mentre si reca in tribunale, a bordo di una Ford Fiesta amaranto. Quella mattina era atteso per una udienza sulle misure di prevenzione da applicare nei confronti di quindici presunti esponenti della mafia di Palma di Montechiaro. Udienza rinviata per l’annuncio di un “incidente”, come venne allora definito. Rosario Livatino morì, a trentotto anni, perché fu lasciato solo, dai suoi colleghi e dalle istituzioni, in quella remota provincia siciliana. Era un uomo discreto, rigoroso, che semplicemente faceva il suo dovere, instancabilmente, con grande competenza e profondo senso dello Stato. È interessante il contesto storico in cui operava Livatino, così come descritto da Nando dalla Chiesa nel libro “Il giudice ragazzino” (Einaudi, 1992): regime della corruzione diffusa contro “lavoro per la nazione”, “voglia di non fare direttamente politica” ma anche “voglia di non tradire”, “ordinarietà del lavoro ben fatto” e contemporanea “straordinarietà del lavoro” negli effetti che produce. Contesto che accomuna Livatino come Michele Emiliano, altro giovanissimo giudice che si occupa degli affari delle cosche mafiose di Palma di Montechiaro, e che sarà trasferito alla procura di Brindisi; come Michele Del Gaudio, magistrato napoletano impegnato nel processo Teardo da Savona, costretto a lasciare l’indagine; come tutta quella generazione di giudici che hanno l’unico difetto di occuparsi di inchieste delicate, che toccano i legami tra mafia e politica. Tra questi, anche Carlo Alemi, Claudio Nunziata, Enzo Arcadi, Carlo Macrì, Giuseppe Ayala, nomi di giovani magistrati combattenti ma impotenti nel loro isolamento. Contesto che accomuna non solo destini, ma anche città, situazioni, Roma come Palermo, Palermo come la remota provincia di Agrigento. Sono gli anni, lo ricordiamo, in cui si combatte per distruggere il pool antimafia, gli anni in cui Corrado Carnevale – passato alla storia come l’ammazza sentenze – , dalla Cassazione, annulla continuamente processi complicati per vizi formali. Gli anni insomma in cui alcune solide coscienze si ritrovano a lavorare, in schiacciante minoranza, contro quelle forze che intrecciano, in oscuri coni d’ombra, il potere. Sono passati ventun anni dall’omicidio di Livatino. Il suo monito, di essere prima di tutto e fino in fondo “credibili”, risuona ancora oggi nelle nostre coscienze e nei nostri raduni. Risuona anche l’invito, contenuto nei suoi appunti, ad essere “indisponibili”, ossia incorruttibili, rinunciando a “desideri di incarichi e prebende, (…) che possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza”. Appunti da non dimenticare.

21/09/2011
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