Referendum: buchi nell’acqua e trivelle

E così non si è raggiunto il quorum. Con poco più del 30% di votanti, il cosiddetto “referendum sulle trivelle” è fallito. A nulla è servito il fronte del sì (che ha comunque raccolto l’85% di coloro che si sono recati ai seggi), che metteva insieme una compagine molto eterogenea: pezzi minoritari del Pd, la Lega, Sel, il M5s, associazioni ambientaliste e non, governatori di regioni in guerra con l’Esecutivo. Ha giocato certamente l’opposizione al referendum stesso, che il premier Matteo Renzi e buona parte del Partito Democratico hanno adottato, invitando l’elettorato a disertare le urne; certo si è trattato di esprimersi su un tema difficile, con poco tempo a disposizione per approfondire la materia e un’informazione carente. In ogni caso, come succede da decenni a questa parte, salvo rare eccezioni (aborto, divorzio, finanziamento ai partiti o, in tempi più recenti, acqua pubblica), il referendum abrogativo è uno strumento complesso, condizionato dall’ombra del quorum, spesso brandito per contrapporsi agli avversari, al netto del merito del quesito. Anche questa volta, ci sembra, è parso fosse un’arma impropria per valutare l’azione di Governo, nel bene e nel male, a prescindere dalla questione ambientale. E’ amareggiante, non solo per chi come noi si è schierato apertamente per il sì. Speriamo che l’Italia voglia mettere al centro dell’azione governativa, come alcuni chiedono, una seria, attenta e lungimirante politica energetica, senza continuare a mettere pezze fin che si riesce.

19/04/2016
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