Quando eravamo #guerrieri

Circa dieci giorni fa su Twitter è esplosa una forte contestazione contro Enel e la sua campagna on line, lanciata con una comunicazione a tappeto attraverso i canali mainstream:

 

Il concetto era semplice: Enel chiedeva agli utenti di raccontare e condividere sui socialnetwork le loro storie di “guerrieri quotidiani”. Molti però su Twitter, tra cui i Wu Ming fortemente coinvolti, hanno boicottato l’hash tag #guerrieri, usandolo per raccontare invece le malefatte della compagnia energetica in giro per il mondo e, di fatto, trasformando in un boomerang questa campagna.

Perché ci interessa parlare di #guerrieri

Sono tre i motivi che ci portano a fare delle considerazioni su quanto è successo, sebbene siano passati ormai una decina di giorni e il clamore attorno a questa controcampagna si è decisamente sgonfiato.

1. L’approccio di Enel. Il web non è un cortile privato eppure Enel (cioè l’agenzia di marketing che gestisce #guerrieri per suo conto) si è comportata come se fosse così. Di fronte al tentativo di sabotaggio la compagnia energetica si è semplicemente limitata a togliere dal sito della campagna il widget di Twitter con i post degli utenti, senza affrontare il dissenso. Perché allora fare una simile iniziativa online?

2. Il silenzio dei giornali. Lo facevano notare sempre i Wu Ming. Di quello che è successo su Twitter nessuno ha parlato, a parte il Fatto Quotidiano. Certo non si tratta di una notizia epocale ma, quando ci si abitua agli articoli di cronaca che trattano dell’ultimo tweet di Balotelli o di Matteo Renzi, si rimane un po’ spiazzati nel notare il silenzio di quasi tutta la stampa.

3. I dubbi sull’utilità di una campagna di controinformazione su Twitter. Quest’ultimo punto è un po’ una diretta conseguenza dei primi due. Ne avevamo anche già parlato con Camilla a proposito dell’hashtag #afschrei.  Vale inoltre la pena ricordare che gli utenti italiani iscritti a Twitter sono 3,5 milioni, un numero relativamente basso se si vogliono raggiungere larghe fette di popolazione (e non si ha un ufficio stampa infuente come quello di Enel). Inoltre ci sembra che molti (non tutti eh! Molti…) usino queste situazioni in modo strumentale per aumentare il loro reputation capital. A loro dedichiamo questo piccolo paragrafo del libro di Morozov:

Chi è rimasto affascinato dalla promessa dell’attivismo digitale spesso fa fatica a distinguerlo dall’”attivismo da poltrona”, il suo parente digitale più pericoloso, che troppo spesso conduce alla promiscuità civica, di solito come risultato di uno shopping selvaggio in quel supermercato online delle identità che è Facebook, che fa sì che l’attivista online si senta utile e importane, mentre invece ha un impatto politico limitatissimo.”

08/10/2013
Articolo di