La grande scommessa

La crisi finanziaria americana del 2008: un collasso incredibile delle banche di investimento, a danno di milioni di piccoli risparmiatori, che avevano stipulato mutui sulla casa. Di questo parla il film “La grande scommessa”, pellicola che affronta, come raramente accade al cinema, i problemi della speculazione finanziaria, degli investimenti folli di Wall Street, della modalità criminale dell’economia (americana?). Nel film di Adam McKay si narrano le vicende di alcuni personaggi, realmente esistiti, che seppero prevedere, contro ogni previsione di un sistema che si riteneva solido e indistruttibile, l’onda anomala che travolse banche e risparmiatori, meno di un decennio fa. Quando nessuno era disposto a dar loro credito, alcuni esperti del mercato, con una notevole dose di fiuto e di azzardo, capirono qual era la direzione obbligata cui il sistema di investimento bancario era destinato a percorrere. Provando a segnalare la falla nella nave. Ma chi, sano di mente, accetterebbe una simile scommessa?

Con una struttura complessa, ma un livello di chiarezza stupefacente, la sceneggiatura disegna i punti di vista dei protagonisti (tra cui è difficile trovare una figura davvero innocente, dove forse tutti mantengono un’opacità di fondo). L’ipertrofia dei punti di vista diventa qui un pregio, con battute taglienti e personaggi che a volte parlano direttamente in camera, come fossero rivolti agli spettatori. Cast prestigioso, dove è difficile assegnare la palma del più bravo: da Brad Pitt a Steve Carell, da Ryan Gosling a Christian Bale. Impossibile da comprendere fino in fondo, nei suoi intimi dettagli, se non si padroneggia la materia. Resta la sgradevole sensazione di sfiducia verso un sistema, che pare marcio fino all’essenza, dove gli interessi dei numeri prevalgono su quelli umani, i colpevoli la fanno franca, chi si oppone è considerato un pazzo visionario e a rimetterci sono sempre i soliti. Siamo davvero sicuri che qualcosa sia cambiato e si sia imparata la lezione?

La scommessa della storia narrata, neppure così grande, pare essere che il banco (le banche?) vince comunque sempre. Senza catarsi, nè giudizio. A suo modo desolante.

13/01/2016
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