La battaglia di Hacksaw Ridge

Desmond Doss (A. Garfield) giovane ragazzo della Virginia, ha poco più di vent’anni quando gli Stati Uniti sono coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Suo padre è un decorato della Grande Guerra, che non ha mai fatto pace coi suoi fantasmi, è un alcolizzato, picchia la moglie, Desmond e l’altro figlio. Dopo Pearl Harbour e l’arruolamento del fratello, Desmond si innamora di una giovane infermiera ed è affascinato dalla medicina; anche lui, a un certo punto, sceglierà di servire il suo Paese, anche se con una convinzione particolare: rifiutare di imbracciare un fucile, ma prestare soccorso ai feriti sui campi di battaglia. Comincia così un duro addestramento, nell’ostilità dei suoi commilitoni, che non si fidano di quella che considerano la sua vigliaccheria, e la contrarietà dei suoi superiori, che cercano di deferirlo presso la Corte Marziale. Si ritroverà nella battaglia di Okinawa, uno degli ultimi teatri di guerra nel Pacifico, nel maggio 1945, quando il fronte in Europa era ormai finito. Nella sanguinosa presa di Hawksaw Ridge, contro i giapponesi, Desmond, aiutato dalla sua tenacia e dalle sue convinzioni religiose, compierà qualcosa che assomiglia un miracolo: salvare 75 compagni feriti, nell’inferno di fango, lacrime, sudore e sangue. A fine della guerra, il presidente Truman lo decora con la Medaglia d’Onore, massima onorificenza militare conferita a un obiettore di coscienza.

Film bellico anomalo, che vede il ritorno alla regia di Mel Gibson (“Braveheart”, “Apocalypto”, “La Passione di Cristo”), che per una prima metà racconta, con divagazioni sull’infanzia del protagonista, il lungo preludio al massacro di Okinawa. Nella seconda ora si tuffa a capofitto nella fisicità dello scontro, tra i proiettili e le bombe, senza risparmiare scene truculenti, come la guerra è in effetti. Alterna momenti più riusciti, a pagine meno entusiasmanti, con un Garfield protagonista di grande bravura. Un film che non è memorabile, che racconta un storia quella sì, memorabile. Gibson sa rendere con efficacia plastica il conflitto nella sua crudezza, ma indulge in una retorica religiosa, un po’ destroide e anche manichea (perfidi giapponesi) che pervade la storia e ne rallenta il ritmo.

Imperfetto, indubbiamente, ma con un suo fascino di interesse, non fosse altro per la straordinaria “parabola” umana di Desmond Doss.

Candidato a 6 premi Oscar, tra cui film, regia e Garfield protagonista.

02/02/2017
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