Ingrandire il dizionario

Sono decine i concetti che non solo non mi erano chiari, ma ignoravo totalmente, prima di mettere  piede in Colombia, dove vivo ormai da 10 mesi, lavorando per una Ong che si occupa di sviluppo contadino, a Pasto, nel sud del paese.

 

In primis il concetto di “Minga”, il lavoro solidario e collettivo, che attiva una comunità nel momento del bisogno o per la realizzazione di progetti comuni. Le Mingas possono essere temporanee, costituite solo per la risoluzione di un problema, o permanenti, fungendo da associazioni con regole e struttura ben precise.

 

Si formano Mingas per cucinare, per sistemare le strade, per costruire case o come nel caso della ADC (associazione per lo sviluppo contadino) per animare comunità che si uniscono per gestione di progetti, fondi e iniziative comuni.

 

Agroecologia: non che non ne avessi mai sentito parlare, ma è qui che ho conosciuto l’essenza della sua filosofia e una miriade di applicazioni pratiche. L’Agroecologia è, per la Asociacion para el Desarrollo Campesino, innanzitutto scienza. Scienza nel senso più ampio del termine, i contadini di queste zone infatti, si convertono in pionieri di alcune delle pratiche agroecologiche,  che migliorano la vita delle famiglie e dell’ambiente.

 

Piante acquatiche che decontaminano la materia organica degli animali ottenendo acque pulite, sistemi di semina completamente organici, allevamento di animali quasi totalmente indipendente del mercato dei foraggi (per citarne alcune).

 

Non ci può essere scienza senza la pratica, tentativi, errori, scoperte casuali, aiutano a fare del proprio terreno un laboratorio, dove sperimentare e migliorarsi.

In ultimo, non per importanza, l’agroecologia è necessariamente un “movimento sociale”, un condividere la propria esperienza, prima di tutto con la famiglia, poi con i membri della comunità alla quale si appartiene, fino a condividerla con biologi, agronomi, veterinari, che qui sono soliti visitare i contadini per imparare di più e per aiutarli nel “scientifizzare” alcune pratiche.

 

Tra le molte scoperte fatte in questa fetta di Colombia, quella che sicuramente mi ha toccata di più è la Comunicazione Comunitaria.

La ADC ha alcune aree di lavoro su cui poggiano tutti i progetti e le attività svolte con le differenti comunità di contadini con cui si lavora, tra queste dal 2000, entra a pieno titolo la comunicazione, per due motivi:

  • è necessario raccontare le persone e le attività che si svolgono
  • è fondamentale che le comunità generino comunicazione per raccontarsi e per condividere all’interno delle stesse i progetti, le lotte e le preoccupazioni.

 

Ho avuto la fortuna di essere, durante quest’anno, la responsabile di quest’area di lavoro, insieme a Ruben, un coetaneo contadino, che dopo alcune formazioni ha potuto sviluppare la passione per i video e per la radio.

 

La comunicazione è comunitaria perché fatta insieme, frutto di un sforzo collettivo di progettazione e di attuazione. I video, le registrazioni audio, gli spettacoli di danza e tetro, gli scritti, sono prodotti della e per la collettività.

 

Interessantissimo il lavoro della rete di altoparlanti nella Laguna della Cocha, zona in cui risiede una delle comunità più attive in fatto di comunicazione.

Ogni “vereda” (traducibile con “frazione”) che si affaccia sulla splendida Laguna, ha un altoparlante, gestito dal responsabile di turno. Generalmente si cerca di spostare gli altoparlanti vicino alle case dei responsabili, così che si occupino non solo di farli funzionare ma anche di controllare che non subiscano danni.

 

Durante la riunione del collettivo di comunicazione, di cui il mio collega Ruben è coordinatore, si decidono gli avvisi da trasmettere, che possono essere di varia natura:

-riunioni

-spot di sensibilizzazione

-eventi

-comunicazioni urgenti

 

Proprio la settimana scorsa gli altoparlanti sono stati fondamentali. Le forti piogge hanno fatto crescere la Laguna e un fiume che passa tra le “veredas”, provocando un’inondazione, che per fortuna non ha fatto danni irreparabili. I comunicatori responsabili della rete di altoparlanti, hanno avvisato i cittadini, dando istruzioni sul da farsi e cercando di direzionare gli aiuti dove fossero più necessari.

 

Il mio lavoro si è incentrato per la maggior parte nella produzione di video, entrando nell’ottica della comunicazione comunitaria, ho cercato di essere sempre rispettosa delle persone che avevo di fronte e ho cercato di privilegiare il dialogo alla fretta.

 

Prima di girare un video, per esempio, si fanno sempre due chiacchiere con i partecipanti, rispetto al tema che si affronterà e si cerca di fare in modo che tutti si sentano a proprio agio di fronte alla camera.

 

Giusto la scorsa settimana ho tenuto un laboratorio di comunicazione con un gruppo di bambini che andavano dagli 8 ai 13 anni, l’idea era costruire un video che presentasse la riserva naturale che la comunità gestisce collettivamente. Abbiamo costruito il copione tutti insieme, diviso le parti da raccontare e registrato. Il risultato è un video di 10 minuti in cui i bambini si alternano di fronte e dietro la camera.

 

 

Inutile dire che non sarebbe stato lo stesso arrivare, spingere i bambini a raccontare alcune cose e tornare in ufficio con un video in più.

 

La forza è questa, metterci più tempo ma avere un risultato collettivo, permettere ad altri di imparare quel poco che si sa, perché diventino generatori di comunicazione, perché possano loro stessi raccontare le storie delle loro comunità e famiglie.

 

E’ un lasciare la tecnica a un lato e incentrasi sulle persone, è un insegnamento grande.

 

E si parla poi di Facebook, delle sue contraddizioni, di giornalismo, di radio. Le piccole “emissoras” (radio) sono un realtà ancora viva e vegeta in queste zone. Ci sono le radio delle comunità indigene, quelle contadine, quelle cittadine, ognuna con il proprio pubblico e la propria programmazione, in cui si alternano informazioni sugli scioperi, sulle assemblee e pezzi di bachata commerciale.

 

Costa 4000 pesos (1 euro e mezzo) far passare un annuncio per 3 volte al giorno nella radio Consacà Estereo, dove mi sono recata per promuovere un evento di cucina tradizionale che abbiamo costruito con la ADC.

 

Minga, Agroecologia, Comunicazione Comunitaria, sono solo alcuni dei concetti che ho interiorizzato grazie a questa esperienza colombiana. I tre sono uniti dal filo sottile, ma esistente, dell’alternativa. In questo mondo dove ci insegnano a comprare i mandarini già sbucciati, dove il più furbo la fa sempre franca, dove la Tv ci ammazza l’intelletto, esistono ancora delle vie d’uscita.

E questa Colombia ce lo dimostra.

01/08/2016
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