Il Giovane Favoloso

locandina del film Il Giovane Favoloso di Martone. Un film sulla vita e le opere di Giacomo Leopardi

 

 

Il Giovane Favoloso, di Mario Martone, è un film riuscito e coraggioso. Riuscito perché coraggioso. Infatti, raccontare senza banalizzare la biografia e le opere del più grande poeta italiano dell’Ottocento in 137 minuti è una sfida. Martone l’ha raccolta, dando l’impressione di essersi immerso in profondità nell’intera opera leopardiana: dallo Zibaldone ai Canti, passando per le Operette Morali, le lettere e i Paralipomeni della Batrocomiomachia. E proprio questa ricerca minuziosa è il primo pregio di un film che mette in scena un Leopardi dalla personalità sfaccettata, in cui il pessimismo e la malattia sono contemperati da una forza vitale e un’ironia che lo accompagnano lungo tutto il suo itinerario, fino a Torre del Greco, alla morte.

 

La vita di Leopardi raccontata attraverso le opere

La seconda caratteristica vincente del film riguarda l’uso a fini narrativi della produzione letteraria di Leopardi. Lo scambio epistolare tra il poeta recanatese con Pietro Giordani è reso attraverso le voci fuori campo e sembra una possibile via d’uscita alla claustrofobica casa paterna in cui si trova rinchiuso; due frammenti di Dialogo di Tristano e un amico, ultima delle Operette Morali, vengono usati per mettere in scena il rapporto conflittuale tra Leopardi e gli intellettuali fiorentini, che gli negano il premio del Concorso Quinquennale della Crusca (che nel 1830 fu dato a Carlo Botta). In questa scena il protagonista si congeda in modo memorabile, citando di nuovo l’Operetta:

 

Bruciarlo è il meglio. Non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità dell’autore: perché in confidenza, mio caro amico, io credo felice voi e felici tutti gli altri; ma io quanto a me, con licenza vostra e del secolo, sono infelicissimo; e tale mi credo; e tutti i giornali de’ due mondi non mi persuaderanno il contrario.

 

Le stesse poesie, anche quando non recitate, compaiono nel film nella forma delle occasioni biografiche da cui sono scaturite: la morte di Silvia, il dialogo tra Leopardi e il sarto che allude a Il Passero Solitario, la breve inquadratura in cui il poeta recanatese e l’amico Ranieri passano a fianco di alcune donne napoletane in lutto, che invece rimanda ai componimenti sepolcrali.

 

Regia, colonna sonora e interpretazione

Infine, il terzo aspetto che rende bello questo film è l‘alchimia creativa che si è creata tra il regista, Elio Germano (un’interpretazione eccellente), e Apparat che ha curato la colonna sonora. Questi tre ingredienti producono scene memorabili, come quella in cui Leopardi, scoperta la relazione tra l’amico Ranieri e la contessa Fanny Targioni Tozzetti (Aspasia), scappa fino alle rive dell’Arno, dove si accascia nell’erba, con le nuvole specchiate nel fiume e in sottofondo l’evocativa composizione del dj tedesco

 

Ancora, la colonna sonora sostiene la recitazione de L’Infinito con un fischio inquietante fino all’allusione della morte “Io nel pensier mi fingo; ove per poco / il cor non si spaura”, quindi si interrompe bruscamente, lasciando spazio al rumore del vento, al “navigar m’è dolce in questo mare”.

 

Un dubbio tematico sul finale

Un film consigliatissimo, Il Giovane Favoloso, con un appunto sul finale in cui Leopardi recita La Ginestra, vero e proprio suo testamento spirituale. È un monologo interiore sotto un cielo stellato, con il poeta in procinto di morire. Si tratta di una scena stilisticamente ineccepibile. L’inquietudine è però tematica. Martone sceglie di troncare gli ultimi undici versi della poesia, proprio quelli in cui viene rappresentato il messaggio per nulla pessimista del poeta. Perché questa scelta? Crediamo comunque che l’intera ultima strofa di questo componimento sia ancora oggi molto attuale. Per questo motivo ve la riproponiamo qui:

 

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.

 

 

 

27/10/2014
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