Emergenza corruzione, ognuno faccia la propria parte

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Oggi, 3 dicembre, è stato presentato l’indice di percezione della corruzione curato da Transparency International in 175 paesi al mondo.
Al di là dei numeri, c’è un dato che emerge dagli interventi di Confindustria, di Unioncamere, dell’Anec e di Transparency, un elemento su cui sono tutti d’accordo e che fa riflettere.
E’ il richiamo alla responsabilità di ciascuno, singolo o unito in associazione.
E’ certo che la corruzione sia un problema culturale, ma c’è il rischio con questo approccio di demandare al cittadino anche una parte di responsabilità che non gli appartiene.

 

Il risveglio brusco di questa mattina parla chiaro: da destra a sinistra, ci sono sistemi politici e consorterie criminali che gestiscono enormi quantità di denaro, ungendo meccanismi a suon di mazzette, arrotondando gli stipendi degli amministratori pubblici per poterli ritenere a disposizione. Questi scandali (Expo, Mose,…) influiscono pesantemente anche sull’immagine che il nostro Paese dà all’estero e dunque sul suo grado di investibilità.
In questa filiera di comportamento c’è una profonda radice culturale, è indubbio, ma a partire da quella radice ci sono poi numerose ramificazioni che si estendono, rafforzate dalla certezza dell’impunità.
Non si può pensare di lavorare a partire dalla radice, prima c’è una pianta intera da indebolire.
E la si indebolisce lavorando su tutti i rami in contemporanea, affrontando con serietà ogni aspetto e mettendo in campo le forze migliori.
Il mondo dell’economia dovrebbe far propria la convinzione che la corruzione crea concorrenza sleale tra gli attori in gioco e appropriarsi quindi del rating di legalità, fino ad oggi poco utilizzato. Espellendo dai consorzi e dalle associazioni di categoria le realtà che non si conformano agli standard di trasparenza e che sono coinvolte in gare truccate.
Allo stesso modo dalla politica sono necessarie risposte solerti, e non con annunci spot, su falso in bilancio, autoriciclaggio, prescrizione.
Le radici culturali del fenomeno si indeboliscono se si respira un’aria di cambiamento, che non può che passare da azioni incisive.
C’è bisogno di esempi positivi, a cui guardare per credere che la legge del più furbo non è più quella a cui appellarsi, perché non conviene, perché a ogni comportamento illecito corrisponde una sanzione. Qui risiede il principio di utilità della legalità, che si afferma anche nel suo contrario e cioè dell’inutilità dell’illegalità. Se delinquere non ti porta un vantaggio ma una pena, sarà più facile culturalmente agire per l’affermazione dei comportamenti corretti. E sostenere la necessità della denuncia, l’importanza di non girarsi dall’altra parte dinanzi a questi reati.
Se Transparency oggi ci restituisce una fotografia umiliante (restiamo fanalino di coda dell’Europa e 69esimi nel Mondo) è perché gli indicatori attraverso i quali è costruito il CPI (Corruption Perceptions Index) parlano chiaro. E questi indicatori internazionali tengono insieme fattori di analisi diversi, legati alla trasparenza economica, legislativa, finanziaria, mediatica, giudiziaria.

 

E’ certo che ciascuno possa e debba fare la propria parte, che la corruzione comincia dentro di noi e dalle piccole cose; è certo che l’associazionismo ha un ruolo fondamentale nell’attivazione del singolo (pensiamo alla campagna Riparte il Futuro) e nell’interlocuzione con le Istituzioni, ma è altresì certo che i segnali di inversione di tendenza è necessario che arrivino da tutti i fronti coinvolti, come diceva Paolo Borsellino, “ognuno per quello che può, ognuno per quello che aa“.

03/12/2014
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