Elle

Michelle (I. Huppert) dirige una società che produce videogiochi, ha un ex marito, un figlio che sta per diventare padre, vive sola e con un gatto. Un giorno viene aggredita in casa e stuprata, ma non denuncia l’accaduto. Non vuole andare alla polizia, cerca semplicemente di riprendere la sua ordinarietà. I giorni passano e lo sconosciuto aggressore comincia a rifarsi vivo con messaggi e telefonate, Michelle cerca di scoprire la sua identità; mentre la storia prosegue, conosciamo l’eccentrica madre della protagonista e, pian piano, affiora il passato sanguinoso della sua infanzia, che si lega alla vicenda del padre, oggi in carcere. Il gioco al massacro col suo aguzzino si rivelerà più sfaccettato del previsto, quasi al limite del masochismo, mettendo di riflesso a nudo la natura ambigua di tutti i personaggi coinvolti.

Paul Verhoeven (“Robocop”, “Atto di forza”, “Basic instinct”), discontinuo regista olandese, alla soglia degli ottant’anni, firma una pellicola curiosa e affascinante, tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian. Cocktail di contraddizioni e miserie umane, vigliaccherie e umanità, perversioni e rimorsi. Mescola il thriller con il grottesco (l’apice rimane la cena di Natale), con un uso sapiente della suspance. Isabelle Huppert superiore ad ogni elogio: la sua protagonista è un mix di cinismo e amoralità, eppur umana e fragile, di certo non innocente, come forse nessun personaggio della storia. Golden Globe per la sua interpretazione, Cesar e nomination all’Oscar.

Galleria dei piccoli orrori e delle grandi meschinità, col veleno nella coda. Echi di Cronenberg e Haneke.

Spiazza, disturba, inquieta e coinvolge nella sua tensione. Ritratto di una società (non solo francese), di cui c’è poco da rallegrarsi, in cui c’è poco da sperare.

23/03/2017
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