El abrazo de la serpiente

All’inizio del Novecento, il tedesco Theodor Koch-Grunberg esplorò l’Amazzonia, in cerca della rarissima pianta medicinale chiamata yakruna: egli stesso, malato, era accompagnato da un indigeno di nome Manduca e da un indio, Karamakate, che si era isolato dal mondo, vivendo in solitudine e a contatto con la foresta. Karamakate si ritroverà, più di trent’anni dopo, a fare da guida all’americano Richard Evans Schultes, esploratore sulle tracce del viaggio del suo predecessore tedesco.

Il film è la narrazione parallela dei due viaggi, attraverso il fiume e la giungla, incontrando le piogge e la natura feroce, il progresso che avanza e le meschinità dell’uomo bianco, che per il caucciù sterminò popoli e distrusse l’ecosistema. Karamakate è il filo rosso della storia: l’uomo primitivo, che conosce i segreti della natura, oltre a vivere con ostinazione le sue credenze e le sue superstizioni, che non si fida degli occidentali. Più testardo e viscerale nella gioventù del suo primo viaggio, prevale la calma saggia nella vecchiaia del suo secondo.

Film di rara potenza visiva (il bianco e nero è splendido), indubbio il fascino di molte sequenze, che a tratti ricorda le fotografie di Salgado, ma anche gli incubi allucinati di Kurtz (c’è un parallelismo tra la missione nel cuore della foresta e “Apocalypse now”?), o gli omaggi a qualche film di Herzog.

Basato sui diari dei due esploratori, in versione originale con sottotitoli. Finale sospeso.

Onirico e feroce, può turbare, ma è innegabile la sua capacità di catturare l’attenzione dello spettatore.

Premiato a Cannes 2015 e candidato al miglior film straniero.

04/08/2016
Articolo di