Educazione linguistica: una riflessione sul Gruppo di Firenze

Sabato 4 febbraio il Gruppo di Firenze, un’associazione di docenti che si batte per “la scuola del merito e della responsabilità”, ha lanciato un appello al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Istruzione affinché sia affrontato il problema dell’educazione linguistica all’interno della scuola dell’obbligo. A loro parere, infatti, le carenze linguistiche degli studenti universitari (grammatica, sintassi, lessico), sono “appena tollerabili in terza elementare”. Questo appello è stato condiviso da più di seicento persone appartenenti al mondo della scuola, dell’università e della cultura ed è stato rilanciato dai maggiori media nazionali, provocando un dibattito anche molto acceso tra addetti ai lavori e non. Con questo articolo vorremmo spiegare perché queste soluzioni possano essere potenzialmente peggiorative per il sistema scolastico nazionale.

 

1. le richieste presenti nell’appello sono già all’interno delle attuali Indicazioni Nazionali

Le Indicazioni Nazionali per il Primo Ciclo sono un documento redatto e licenziato nel 2012 da una commissione guidata da Marco Rossi Doria. All’interno di esse sono presenti i traguardi di apprendimento che gli studenti devono aver raggiunto alla fine del terzo anno della Scuola Secondaria di Primo Grado (la vecchia Scuola Media). Il Gruppo di Firenze vorrebbe che queste indicazioni fossero riformulate per dare maggior rilevo “all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari”. Un proponimento sacrosanto, che però è già presente nei documenti attuali. Il capitolo delle Indicazioni Nazionali dedicato all’apprendimento della lingua italiana si apre infatti con questa premessa (Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, p. 28):

Lo sviluppo di competenze linguistiche ampie e sicure è una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza, per l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali e per il raggiungimento del successo scolastico in ogni settore di studio. Per realizzare queste finalità estese e trasversali, è necessario che l’apprendimento della lingua sia oggetto di specifiche attenzioni da parte di tutti i docenti, che in questa prospettiva coordineranno le loro attività. (I più interessati se vogliono possono consultare l’intera premessa a questo capitolo)

2. La confusione tra il concetto di “programma” e quello di “indicazioni nazionali”

La proposta di modifica non è tuttavia un appello generico. Il Gruppo di Firenze specifica anche il come bisognerebbe trasformare le Indicazioni Nazionali, suggerendo che esse dovrebbero “contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni”. Ancora una volta i traguardi ci sono già, vengono formulati nel dettaglio e si riferiscono a tre diversi passaggi del primo ciclo: la terza elementare, la quinta elementare e la terza media (Chi volesse approfondire li trova qui Indicazioni Nazionalitraguardi specifici)

In questo caso, però, Il Gruppo di Firenze aggiunge il desiderio di esplicitare le principali esercitazioni a cui gli studenti devono essere sottoposti durante il loro percorso scolastico. Emerge così un altro grosso problema di questo appello, ossia il considerare sinonimi i Programmi e le Indicazioni Nazionali. In realtà non è così. Le indicazioni nazionali sostituiscono i programmi nei primi anni del 2000 per aderire a un principio oggi ineludibile: ogni scuola è autonoma perché nasce e vive in un territorio specifico con bisogni educativi specifici. Essa deve quindi elaborare il proprio intervento didattico in modo autonomo, pur avendo degli obiettivi comuni (e specificati nelle Indicazioni Nazionali) a tutte le altre scuole. I Piani dell’Offerta Formativa nascono in questo contesto normativo. In altre parole, le Indicazioni Nazionali dicono ad ogni scuola che deve raggiungere determinati obiettivi, senza però specificare il come. I precedenti Programmi ministeriali invece erano uguali per tutti gli istituti e non tenevano conto dei differenti contesti. Proponendo delle esercitazioni da somministrare per legge, il Gruppo di Firenze vuole così ridurre l’autonomia delle singole scuole e dei docenti. Ma che significato ha obbligare una classe a svolgere determinate esercitazioni, senza conoscerne il livello e le problematiche specifici? Nessuno.

 

3. Nel documento emerge un approccio reazionario all’insegnamento della grammatica

Un ulteriore punto presente nell’appello del Gruppo di Firenze riguarda “l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.”

Su alcune necessità non c’è che da essere d’accordo. Tanto più che le verifiche nazionali periodiche esistono già, verificano le conoscenze grammaticali e le abilità di comprensione del testo e vengono somministrate dall’istituto Invalsi più volte durante il percorso scolastico dei singoli studenti (su quanto siano efficaci bisognerebbe scrivere un altro articolo).

Ciò che risulta stucchevole è invece la richiesta di valutare a livello nazionale il dettato ortografico e la scrittura corsiva a mano. Un provvedimento che sarebbe invalidante per migliaia di studenti. Si pensi a tutti i bambini e ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) o alla sempre maggiore quantità di studenti stranieri che frequentano le nostre scuole. Come potrebbero non essere penalizzati?

Questo appello, quindi, nel sottolineare un punto importante, la scarsa alfabetizzazione degli studenti universitari, sembra proporre come soluzione una scuola del “ritorno al passato” in cui solo pochi (ma buoni) studenti sarebbero degni di accedere ai luoghi della formazione accademica.

Da dove (ri)partire quindi?

Quarantadue anni fa un gruppo di linguisti pubblicava le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica, un decalogo volto a riformare l’insegnamento dell’Italiano stabilendo un forte nesso tra la conoscenza della lingua e l’esercizio dei diritti democratici (cfr Don Milani). Questo decalogo ispira oggi in modo evidente le Indicazioni Nazionali, ma purtroppo è ancora distante dalla prassi quotidiana dei docenti. Forse riscoprire le Dieci Tesi e applicarle in modo più diffuso potrebbe essere un punto da cui ripartire per migliorare la didattica dell’italiano nelle scuole.

06/02/2017
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