Colombia Magica

L’ho guardato e ho pensato “Deve avere freddo”. Pioggia e vento si stavano abbattendo su di me e su di un albero, ho pensato che anche lui non se la stesse passando benissimo.
Questo piccolo pensiero mi ha illuminata. Ho pensato che un albero avesse freddo, esattamente lo stesso freddo che stavo sentendo io. Sono convinta che mai tre anni fa un pensiero del genere mi avrebbe attraversato la testa.

Se c’è una cosa che mi ha insegnato la Colombia è proprio questa: sentire la natura, i suoi abitanti, i suoi fiumi, i suoi boschi, il suo freddo, il suo caldo, le sue cascate, i suoi frutti.

Vivo da tre anni ormai, in una fetta di Colombia nascosta tra le Ande, bagnata dall’Oceano Pacifico e porta d’entrata all’Amazonia. Qui, contadini e indigeni popolano le campagne coltivando frutta, verdura, caffè e patate.

L’amore, il rispetto e la paura della natura è qui qualcosa di tanto tangibile e quotidiano che anche un’italiana come me può imparare a sentirlo. Gli spiriti dei boschi, delle cascate, delle montagne, i “duendes”, si occupano di proteggere i luoghi sacri dalle barbarie degli esseri umani, all’occorrenza spaventano, fanno piovere, fanno perdere, chi si addentra con cattive intenzioni in casa loro.

Più di una persona li ha visti correre per i prati con un cappello di paglia o li ha ascoltati suonare il tamburo e il flauto vicino a una cascata o in mezzo a un bosco. Sono guardiani millenari di tesori naturali che lottano perché si conservino intatti.

Pasto, la capitale della regione, è stata costruita sotto a un vulcano, il Galeras, chiamato dai suoi abitanti “Taita”, saggio, o “Urcunina”, la montagna di fuoco. È davvero difficile vederlo intero, ci sono sempre delle nuvole che coprono il cratere, a un’altezza di 4000 metri. Quando però il vento le spazza via lo spettacolo è incredibile, ed è difficile vedere in quella meraviglia una minaccia.

I Pastusi ne parlano con l’affetto con cui si parla di un famigliare, un nonno che vigila sulla città e che se si arrabbia la fa tremare. Il vulcano è attivo e sono molte le case costruite in zona rossa, ma nessuno le vuole abbandonare, l’amore per questa terra fertile è più forte delle avvertenze.

Il mais si semina il 4 di ottobre, si raccoglie a giugno, quando diventa signorina iniziano a spuntare le pannocchie”. Così mi spiega una signora mentre la sto intervistando per un video su i prodotti tradizionali di questa zona. “Diventa una signorina”. E’ una poesia detta con una semplicità commuovente.

Qui le mani esperte seminano, raccolgono, sbucciano, tagliano, stringono la pala, il machete. Stringere quelle mani ti fa sentire una mezza calzetta. A me ancora spuntano le vesciche dopo aver zappato mezz’ora e sento una profonda ammirazione per chi conosce i segreti degli alimenti. Per chi sa esattamente dove, come e quando seminare, chi sa farsi da mangiare nel senso più profondo del termine, per chi ha una forza che ha dell’incredibile.

Sono seduta vicino al fuoco, i rami bruciano dentro la stufa, con le pentole che bollono sopra di lei. Soffio in un tubo di ferro per far crescere le fiamme, che sono un po’ mosce. Guardare il ballo appassionato del fuoco porta la testa lontano, inizio a viaggiare all’indietro pensando a quanti passi mi hanno portato in questa cucina, in una casa di campagna con una famiglia di indigeni Quillacinga (figli della luna).

Solo ora inizio a capire la profondità di alcune frasi, di alcuni concetti, che ascoltati in un altro contesto mi farebbero gridare “stupidi hippie, superstiziosi e racconta frottole”. Bisogna lasciare da parte lo scetticismo e sentire. L’energia di una cascata, la saggezza di una pietra, il respiro di un bosco, l’allegria di un colibrì.

Ho capito molto di più la religione in un bosco che in una chiesa, ho capito il rispetto profondo, il timore e l’amore per quello che ci circonda. Che parlare di “mamma” riferendosi alla natura non è poi così assurdo e che si può parlare di “sara”, il mais, come di una cugina a cui è nato un figlio. Che non è strano che qualcuno abbia incontrato di notte le streghe e che abbia visto uno spirito vicino a casa sua.

La Colombia è sicuramente famosa per Gabriel Garcia Marquez, il premio Nobel di Cent’anni di Solitudine, che ha fatto conoscere a tutto il mondo il Realismo Magico. Ecco, a volte non si capisce se sia magia o realtà. Nel dubbio io ho iniziato a crederci e a sentire.

Tutti i giorni i miei occhi si riempiono del verde di queste Ande e dei colori accesi della papaya, del mango, del rosso del caffè e del viola del fiore della patata. Ringrazio le scelte fatte per avermi permesso di conoscere tanta bellezza e di poter sentire questa magia anche un po’ mia.

12/11/2018
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