Caroselli tra le macerie

Israele e Hamas hanno firmato una tregua. Ad annunciarlo è il presidente egiziano Mohammed Morsi unitamente alla segretaria di Stato americana Hillary Clinton. Le condizioni sono ancora piuttosto fumose e i dettagli dovrebbero essere definiti solo domani. Nel frattempo sono finiti i raid aerei da parte di Israele e il lancio di razzi provenienti da Gaza. Si sa pochissimo di quello che riguarda la riapertura dei valichi ma sembra chiaro che non cambieranno le limitazioni a esportazioni e importazioni da Gaza. Non si sa chi e se saranno controllati i tunnel sotto il Sinai che servivano per il contrabbando di merci e armi.

A otto giorni dall’inizio del conflitto israelo-palestinese si contano le vittime. 147 sono i morti palestinesi. Di questi non è possibile dire quanti siano miliziani e quanti civili. Di sicuro si sa che 36 erano bambini. Dal versante israeliano 6 le vittime: 2 soldati e 4 civili.

Da settimane dalla Striscia di Gaza continuavano a sollevarsi razzi diretti ai territori israeliani: 115 ne hanno contati solo martedì 13 novembre. 700 dall’inizio dell’anno. Poi la svolta. Il 14 novembre un missile israeliano colpisce nel centro di Gaza l’auto su cui viaggia Ahmad Jaabari, capo militare di Hamas, che muore sul colpo. Il giorno seguente le Brigate al-Qassam, (braccio armato di Hamas) annunciano di aver “aperto le porte dell’Inferno” a Israele. Un razzo palestinese uccide tre civili israeliani a Kiryat Malachi, in un edificio residenziale. Israele attiva l’aviazione militare e nella Striscia cominciano i bombardamenti. L’Idf (esercito israeliano) rende noto l’attacco a 70 siti sotterranei di Gaza usati per il lancio di razzi.

Nei giorni seguenti Hamas fa un salto di qualità: da Gaza lancia razzi in direzione di Tel Aviv e, per la prima volta nella storia del conflitto, riesce a colpire alcuni quartieri di Gerusalemme, fortunatamente senza vittime. Chi ne capisce qualcosa sostiene che questi non possono essere i soliti razzi rudimentali: non sono fatti in casa. L’ipotesi più probabile è che Hamas sia stata armata dall’Iran. E questo basta. Israele mobilita 75.000 riservisti in previsione di un’eventuale offensiva di terra e blocca tutte le vie di accesso a Gaza con blindati e bulldozer. Comincia l’operazione denominata ‘Colonna di nuvole’: nella Striscia entrano solo più i giornalisti. Rimangono fuori anche i convogli con gli aiuti umanitari.

L’aviazione israeliana continua a bombardare la Striscia, dichiarando di avere obiettivi ben precisi: caserme di polizia, centri di comando dei gruppi armati individuati dai servizi segreti. Il fatto è che il territorio nel mirino dei piloti è tra i più densamente popolati al mondo. La precisione può non bastare. Insieme alla sede del governo di Hamas cadono abitazioni civili, lo stadio di calcio, scuole, moschee, impianti sportivi.

Nonostante i bombardamenti israeliani non lascino tregua il lancio di missili da Gaza in direzione di Israele non si ferma: dall’inizio della settimana ne sono già partiti circa un migliaio, molti dei quali intercettati dalle batterie israeliane del sistema Iron Dome.

La comunità internazionale si riunisce al Cairo per tentare di arrivare a una tregua. I morti palestinesi continuano ad aumentare. È chiaro che nonostante Hamas abbia aumentato la gittata lo scontro rimane impari: a un esercito organizzato e equipaggiato di caccia e blindati si contrappongono bande di miliziani non coordinate tra loro. Gruppi armati votati al martirio. Ma non solo il loro, siccome è in mezzo alla popolazione civile che nascondono i propri arsenali ed è dalle aree edificate che fanno partire i propri attacchi. Questa non è “guerra”.

La differenza di mezzi, di organizzazione, di numeri (in vittime) colpisce l’opinione pubblica. Si comprende che in una “guerra” si contrappongono eserciti. In questo conflitto si è schierato un esercito comandato da un governo senza scrupoli e in fase di propaganda contro una brigata nascosta dietro un popolo.

A questo punto però quella che molti avevano interpretato come un attacco da campagna elettorale (in vista delle elezioni del 22 gennaio prossimo) di Netanyahu rischia di ritorcersi contro di lui. Ormai è tardi. Il premier israeliano afferma che Israele è pronto a “estendere significativamente” le sue operazioni, alludendo a un intervento di terra. I carri armati alle porte di Gaza hanno i motori accesi. Un sondaggio di Haaretz (quotidiano israeliano) dice però che l’84% degli israeliani è favorevole ai bombardamenti aerei. Solo il 30% lo è verso un’invasione via terra. I carri armati rimangono fermi.

L’Unione Europea, come anche gli Usa chiedono il cessate il fuoco immediato. Netanyahu non può permettersi un crollo d’immagine come quello che portò l’operazione ‘Piombo fuso’ del 2008, sanzionata a livello internazionale e costata migliaia di vittime. Obama fa capire che un intervento via terra potrebbe essere al di là della sostenibilità americana. Quindi si tratta: Hamas chiede lo stop dell’embargo di Gaza e degli omicidi mirati dei leader del movimento, oltre che l’estensione della tregua anche alla Cisgiordania. Israele, dal suo canto, chiede di cessare il lancio di razzi e il loro contrabbando per i tunnel del Sinai. Chiede il diritto di dare la caccia ai terroristi a Gaza se necessario e pretende che l’Egitto si faccia garante dell’accordo. Per entrambe le parti alcune delle richieste sono inaccettabili.

Oggi la gente di Gaza è scesa in piazza per festeggiare la tregua, inconsapevole di avere vinto o perso. Caroselli tra le macerie.

22/11/2012
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