Carcere: la via di fuga all’italiana

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Rimangono due mesi. Il 27 maggio prossimo l’Italia dovrà aver risolto il problema del sovraffollamento carcerario, altrimenti sarà costretta a rimborsare circa 3000 ricorsi, di cui almeno 2000 attendibili (e ogni giorno il numero aumenta), fatti da detenuti che hanno vissuto, o ancora vivono, in meno di 3 metri quadri, dentro ai penitenziari italiani.
La stima prevista per i risarcimenti varia tra i 50 e i 100 milioni di euro. All’anno. Sì, perché se la condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) colpisse l’Italia, l’effetto imitativo sarebbe notevole, moltiplicandone i costi.
Il ministro della Giustizia Orlando, in questa settimana in visita a Strasburgo apposta per addolcire la pillola, ha mostrato alla Corte Europea i progressi fatti dall’Italia. Dagli oltre 66.028 detenuti del 2009 (anno della sentenza Torreggiani che condannò l’Italia a risarcire 7 detenuti per le condizioni disumane in cui avevano vissuto) siamo scesi a 60.419 (fonte DAP). Anche i detenuti in custodia cautelare sono scesi da 29.809 a 21.942. E quelli in attesa di processo sono diminuiti da oltre 14.000 a 10.864. Inoltre, la capienza è migliorata: dai 44.073 posti letto del 2009 ai 48.416 attuali. Con altri 4.762 posti in arrivo.
Ma gli stessi numeri dicono che non è ancora sufficiente: restano, facendo i calcoli, circa 15.000 potenziali ricorrenti, senza considerare i reclusi in più degli anni passati.

 

Il tempo stringe. La soluzione (interna) di stampo tutto italiano, ma con benedizione europea, è l’entrata in vigore di un disegno di legge (da approvare in tempi brevissimi) o un decreto, che risarcisca i detenuti che hanno subito (o ancora subiscono) restrizioni al di sotto delle soglie consentite dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Insomma, come ha detto lo stesso Orlando “Occorre che la Cedu giudichi irricevibili i ricorsi e decida di rinviarli in Italia perché il governo ha una soluzione pronta per risarcire il danno subito dai ricorrenti”.
L’idea conia quella della legge Pinto, che risarcisce coloro che hanno subito processi lunghi e  “ingiusta detenzione”. Quindi, una legge che sollevi la Cedu lasciando il compito alle istituzioni italiane.
Ma se la legge prevede solo di spostare il luogo del giudizio (da Strasburgo all’Italia), senza intervenire sulla situazione, cosa cambia?
Formalmente nulla. Ma a quel punto sarebbe l’Italia stessa a dover decidere le cifre degli indennizzi e non Strasburgo. Tant’è che si parla di cifre dimezzate dal passaggio (tra i 10 e i 20 euro per ogni giorno trascorso in meno di 4 metri quadrati), per coloro che sono già usciti, e un accordo sulla riduzione della pena (pari al 20% della pena residua da scontare) per coloro che sono ancora dentro. Dentro a quei tre metri quadri. Stare peggio, pur di uscire prima, è un po’ la sintesi.

 

La redazione del decreto verrà condita dalla promessa di impegnarsi per il futuro a cambiare le leggi che hanno gonfiato la popolazione carceraria. Impegnarsi nell’uso delle misure alternative al carcere per i reati minori e la detenzione in comunità per i detenuti tossicodipendenti. Impegnarsi a rimpatriare gli stranieri cui resta una pena residua di due anni. Impegnarsi anche a migliorare le condizioni di vita dentro alle carceri (ore d’aria garantite effettivamente, spazi più curati, condizioni d’igiene rispettate), misure tutte già previste dai disegni legge Severino prima e Cancellieri poi.
Ora, i più staranno pensando male. Ma Orlando ha precisato: “non c’è nessuna volontà di risolvere un problema complesso come quello del sovraffollamento con risarcimenti pecuniari: non intendiamo proporre baratti tra condizioni disumane di detenzione e denaro”.

 

 

28/03/2014
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